Lo scudo fiscale voluto dal ministro Giulio Tremonti, oltre a miliardi di euro sottratti al fisco italiano, ha fatto emergere anche qualche verità sulla piazza finanziaria ticinese. La prima e più evidente è che questa ha campato da quarant'anni in qua in buona misura su soldi rubati agli italiani onesti (quelli che le tasse le hanno sempre pagate) grazie alla vergognosa connivenza delle banche e delle autorità politiche e finanziarie svizzere.
Altro che qualità delle prestazioni fornite al cliente, dunque. E Tremonti, che fece carriera come esperto tributario esportando capitali all'estero e che negli anni '80 militò nel Psi di Bettino Craxi, lo sapeva bene. Lui, certamente, non è sorpreso dal successo del suo scudo. Né lo possono essere i banchieri ticinesi. Semmai stupisce il loro fatalismo. Se oggi mille posti di lavoro nel settore bancario cantonale sono a rischio è anche perché la piazza finanziaria poco ha fatto per cautelarsi dai rischi del nuovo scudo fiscale: incurante degli scudi del 2001-2003, ha continuato a puntare su un unico mercato di riferimento, quello italiano, confidando nel fatto che da Como in giù di capitali da nascondere ce ne sarebbero sempre stati. Non è più così. O almeno non più nella misura a cui ci si era abituati.
Tutto questo è confermato dal fatto che solo una piccola parte dei capitali riemersi ha deciso di continuare a dare fiducia alle banche ticinesi: dei circa 40 miliardi di euro allocati sulla piazza di Lugano e dichiarati in occasione di questo scudo, ben il 70 per cento ha scelto la via del rimpatrio fisico. Detto in altri termini: per 7 facoltosi clienti italiani su 10 che hanno rubato i soldi allo Stato le banche ticinesi non offrivano nessun'altra prestazione in più delle banche italiane se non, appunto, la possibilità di fregare l'erario. Lo conferma un'osservazione fatta da Alfonso Tuor sul Corriere del Ticino di mercoledì: la percentuale di rimpatri fisici varia da istituto ad istituto, ed è molto più alta per quelle banche che, in sostanza, hanno trascurato il rapporto con il cliente, rifilandogli in passato prodotti finanziari ad alto rischio ma molto redditizi per la banca a scapito del servizio personalizzato e comptente.
La conclusione è chiara: la piazza finanziaria ticinese potrà avere un futuro se finalmente capirà la lezione dello scudo ter e punterà tutto sulla qualità dei servizi, che è qualità del lavoro. Una lezione che dovrebbero capire anche altri settori economici, a cominciare dal turismo. Abbandoniamo una volta per tutte l'illusione che il benessere del Ticino possa dipendere dai soldi facili del segreto bancario, dei casinò e della prostituzione. L'economia ticinese dispone delle sufficienti capacità umane per crescere in maniera seria, duratura e sostenibile. Si dia loro la possibilità di esprimersi.

Pubblicato il 

18.12.09

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