Scritti per area

La nuova legge federale sulle misure di polizia per la lotta al terrorismo (Mpt) in votazione il 13 giugno si fonda sull’illusione di scongiurare azioni terroristiche imponendo a delle persone di doversi presentare regolarmente in polizia per dei colloqui, vietandogli di accedere a determinate aree, di recarsi all’estero o astringendole a una residenza coatta al domicilio per un certo periodo. Sono propositi velleitari.

 

Ammesso che le nostre autorità di polizia riescano, sulla base di criteri che restano perlopiù imperscrutabili, a individuare una persona effettivamente propensa a mettere in atto azioni terroristiche, è molto difficile credere che misure del genere possano efficacemente vanificarne gli intenti. Chi ha in mente di far saltare in aria un supermercato o di accoltellare i passanti per strada, non credo si faccia un cruccio a violare un obbligo di firma o a infrangere il divieto di uscire di casa.


La soluzione proposta dal Governo e approvata dal Parlamento è dunque un palliativo che non risolverà il problema, ma rischia addirittura di aggravarlo. La sua attuazione, infatti, potrebbe facilmente creare o acuire situazioni di discriminazione, che sono la linfa di cui si nutre proprio la radicalizzazione.


Perché la legge, nel solco di una tendenza politica generale ad accrescere i poteri dell’attività preventiva dello Stato col fine di garantire la sicurezza dei cittadini e l’ordine sociale, crea a sua volta una nuova categoria di persone, i potenziali terroristi, che potranno essere privati della libertà in assenza d’indizi concreti che abbiano commesso, o si stiano preparando a commettere, un reato. In uno Stato di diritto, questo tipo di approccio pone diversi problemi, come già sottolineato da oltre sessanta professori universitari svizzeri e diversi organismi internazionali, tra i quali Amnesty International, il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa e l’Alto Commissariato per i diritti umani dell’Onu.


In sostanza, vista l’indeterminatezza del concetto di potenziale terrorista contenuto nella legge (“persona che si suppone compierà attività terroristiche […] tendenti a influenzare o a modificare l’ordinamento dello Stato, [...] commettendo o minacciando di commettere gravi reati o propagando paura e timore”) e l’assenza di un sistema di controllo giudiziario efficace (a eccezione degli arresti domiciliari, è prevista solo la possibilità di un macchinoso ricorso di natura amministrativa a posteriori), alla Polizia federale viene conferito un potere quasi assoluto e indisturbato di adottare provvedimenti coercitivi duraturi nei confronti di persone innocenti, minorenni compresi. Non delineando i concreti margini di manovra (né materiali, né procedurali) entro i quali la polizia può agire, questa legge apre pericolosamente la strada all’arbitrio.

 

Senza dimenticare che la polizia federale non è un’autorità indipendente, ma risponde agli ordini del potere esecutivo, a sua volta espressione di una determinata conduzione politica. Agli organi di polizia e al Governo di turno verrebbe dunque conferito un armamentario giuridico repressivo, attuabile nei confronti di singoli individui, ma svincolato dalle garanzie costituzionali e procedurali che tutelano normalmente le persone colpite (indipendenza, divisione dei poteri, presunzione di innocenza, diritto di essere sentiti, proporzionalità...). Paradossalmente, al potenziale terrorista verrebbero riconosciuti meno diritti del terrorista compiuto, che è, e continuerà ad essere, perseguito e giudicato secondo il codice di procedura penale.


Il processo alle intenzioni è un esercizio estremamente pericoloso, che gli Stati moderni hanno viepiù cercato di abbandonare, perché, per sua stessa natura, tende a scivolare nella generalizzazione e nel pregiudizio. A farne le spese sono solitamente le minoranze, gli stranieri, i gruppi sociali più deboli, gli anticonformisti o gli oppositori politici. È facile prevedere che, non solo in una dittatura (dove una legge del genere farebbe faville), ma anche in uno Stato democratico come il nostro, è contro queste persone che si rivolgeranno queste misure preventive anti-terrorismo, aumentando in loro il senso di frustrazione, di discriminazione e di disaffezione nei confronti dello Stato. In questo modo, una legge che, nelle intenzioni del Consiglio federale, mira a colpire i potenziali terroristi, rischia infine di creare i veri terroristi.

Pubblicato il 

29.04.21
Nessun articolo correlato