Ancora 12 anni fa, in piena guerra del Golfo per la liberazione del Kuwait dall’invasione irachena, Norberto Bobbio si chiedeva se quella fosse una guerra giusta. Non nel senso di efficace o moralmente accettabile, che sono semmai i quesiti successivi da porsi, ma in quello di legale, ossia conforme al diritto internazionale vigente. In effetti quella guerra appariva come un atto di legittima difesa di uno Stato sovrano, il Kuwait, che aveva chiesto aiuto ad una coalizione di suoi alleati per ristabilire la conformità all’ordinamento giuridico. Fin qui molti potevano essere d’accordo; i problemi cominciavano con la valutazione della proporzionalità della guerra scatenata contro l’Iraq: e i fatti provano che la risposta della coalizione guidata dagli Usa fu tanto violenta e devastante da essere certamente sproporzionata e dunque a sua volta illegale. Da allora gli Stati Uniti, passando successivamente per la Somalia, il conflitto serbo-kosovaro e l’Afghanistan, hanno sempre più forzato il diritto internazionale nel tentativo di legittimare una loro facoltà d’intervento militare diretto anche negli affari interni di uno Stato sovrano. Rispetto alla guerra che ora si profila minacciosa all’orizzonte, però, in quei tre casi, pur assistendo ad un progressivo sconvolgimento dei più consolidati principi giuridici, c’era sempre una giustificazione etica se non da tutti condivisibile, per lo meno plausibile, al di là del fatto che rimanevano comunque aperte le questioni della legalità, della proporzionalità e dell’efficacia di simili interventi. E non erano questioni da poco. Con la fortissimamente voluta guerra all’Iraq che Bush sta ora per scatenare gli Stati Uniti compiranno l’ultimo e decisivo passo verso il ritorno ad un imperialismo colonialista che si riteneva ormai definitivamente superato. Questa guerra, con o senza l’avallo dell’Onu, sarà un atto d’aggressione unilaterale contro uno Stato sovrano senza che da quest’ultimo venga una minaccia tale da poterlo anche solo lontanamente giustificare, né come legittima difesa, né come sanzione. Che questa guerra sia irrimediabilmente ingiusta lo prova il goffo tentativo di legittimazione quale “guerra preventiva” per coprirne gli interessi economici (in particolare petroliferi) che la muovono. Questa guerra sarà essa stessa un crimine di guerra, perpetrato da quella che si vuole la nazione-faro della civiltà occidentale: essa rieleverà la barbarie a strumento d’azione politica e d’egemonia economica. Di fronte a questo tracollo della ragione domani in decine di piazze di tutto l’Occidente milioni di persone grideranno il loro “no” all’ingiusta guerra preventiva e il loro “sì” alla pace definitiva perché giusta. Sarà un atto fortemente ideale di cui in questi mesi si sente un gran bisogno. E servirà a ricordare a chi governa l’Occidente quali sono i nostri veri valori: che non sono quelli di lui, Bush, ma quelli di noi, i cittadini.

Pubblicato il 

14.02.03

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