È la seconda volta consecutiva che il canton Ticino decide di partecipare alla campagna mondiale “16 giorni di attivismo contro la violenza di genere”. Lo farà dal prossimo 25 novembre fino al 10 dicembre con una serie di eventi per sensibilizzare su un fenomeno che esiste da sempre e perdura: le radici culturali alla base delle diseguaglianze fra i sessi sono dure da smontare, perché permettono a un gruppo di dominare su un altro. Questione di presa di potere. E già che parliamo di potere, è interessante il primo studio su quanto accade alle donne e alle persone trasgender nelle caserme militari presentato dall'Esercito svizzero.
Facciamo un passo indietro e pensiamo al fatto che le donne nella storia siano state considerate bottino di guerra: i soldati, dove passavano, distruggendo villaggi e città, saccheggiavano le abitazioni e, da prassi, violentavano le donne. E continuano a farlo. Il corpo femminile è stato usato come un’arma, al pari di un missile, anche in conflitti più recenti come nella guerra nei Balcani. Lo stupro sistematico e le gravidanze forzate come strumenti più precisi di bombe per realizzare piani di pulizia etnica e per minare il senso di identità degli uomini del gruppo avversario.
L’ISIS, addirittura, ci ha fatto anche i soldi con lo stupro, trasformando le donne sequestrate in schiave sessuali date in pasto ai combattenti per sfogare i loro appetiti a fine giornata, ma pure vendute nel mercato globale del sesso come fonte di finanziamento. In Nigeria stessa storia (o incubo) per le tante ragazze sequestrate nei villaggi e nelle scuole.
Secondo l’ultimo rapporto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulle violenze sessuali perpetrate nei conflitti, le forze armate russe hanno usato una forma di stupro diffuso, ma anche contro uomini e ragazzi in Ucraina cui in alcuni casi è stata inflitta anche la mutilazione genitale.
Siamo messi da barbari: lo siamo sempre stati, non è una novità.
Dicevamo del primo studio che, presentato nelle scorse settimane, rileva all’interno dell’Esercito svizzero un quadro preoccupante con una violenza a sfondo sessuale (che si esprime verbalmente, negli atteggiamenti e pure a livello fisico) ancora molto diffusa di cui quasi la metà degli interpellati ne è stata vittima. È quanto emerge dal sondaggio anonimo condotto nel 2023 fra 1.126 militari, di cui 764 donne e 362 uomini. Nessun genere ne esce immune. Mahide Aslan, responsabile di “Donne nell’Esercito e diversità”, in conferenza stampa ha sottolineato come le persone di sesso femminile e transgender non siano considerate al pari degli altri militari, ma siano ritenute inferiori proprio per il loro genere. «L’immagine stereotipata del soldato, che si riscontra dappertutto nell’armata, è quella di un uomo bianco, eterosessuale». Il tormentato reclutamento femminile nell’esercito riflette i perduranti pregiudizi di genere fra stereotipi e discriminazioni che, partendo da una sorta di divieto di natura culturale, per secoli ha associato la donna alla casa e inadatta a ricoprire altri ruoli. Guai a mettersi a fare la guerra contro questa idea. Le donne sono state incorporate nell’esercito svizzero dapprima con ruoli ausiliari e marginali per diventarne poi più protagoniste nel 1986 con l’inserimento nelle unità di combattimento. Sarà solo nel 1994 che verranno equiparate ai soldati uomini. Bontà loro. La loro presenza è molto modesta e ciò è dovuto anche alla difficoltà di essere veramente riconosciute e rispettate in caserma. Spesso, come emerge dallo studio, sono vittime di discriminazioni sottaciute, tollerate da colleghi e superiori, se non addirittura banalizzate e giustificate da una visione fortemente maschilista, il che disincentiva le segnalazioni di episodi di violenza subita. L’Esercito svizzero ha però bisogno di una più importante presenza femminile nei suoi ranghi, visto il calo di reclutamento fra gli uomini e l’obiettivo del Dipartimento della difesa di alzare entro il 2030 la loro percentuale al 10%. Questione di necessità: donne, siete chiamate all’appello. Datevi alle armi. Un appello che richiede garanzie: sarà per questo che da Berna ci si sta attivando? «Benché si sia già fatto qualcosa in questo settore, siamo ancora lontani dal nostro obiettivo come dimostrano i risultati del sondaggio», ha commentato Thomas Süssli, capo dell’esercito, secondo cui i problemi in seno al corpo militare sono gli stessi che hanno interessato altre istituzioni. Sarà, e sicuramente è, ma si tratta di un serio problema e per questo, ha aggiunto Süssli, «con nuovi provvedimenti l’armata vuole accelerare il cambiamento culturale fra i propri ranghi». Da parte sua, il Comandante di corpo Hans-Peter Walser, si è detto impressionato dall’importanza del fenomeno: «Non vogliamo che simili discriminazioni diventino parte della quotidianità delle soldatesse e dei soldati». Gli attuali strumenti di protezione verranno estesi già con le prime scuole reclute del 2025. con ulteriori misure. In particolare verrà data molta importanza alla prevenzione. Saranno introdotti moduli formativi per combattere la discriminazione e la violenza sessualizzata e fornire gli strumenti per come intervenire in simili casi. Nuove forme di osservazione e consapevolezza. Una strategia che potrà essere vincente solo se verranno rafforzati i diritti delle vittime e la protezione dei testimoni. In questa direzione va il sistema di segnalazione che, in fase di realizzazione, dovrà essere rapido, semplice e diretto. Una valutazione intermedia delle misure aggiuntive è prevista per la seconda metà del 2026, mentre l’Esercito condurrà un’altra indagine sulla discriminazione e la violenza sessualizzata nel 2027. Che cosa dire? Che la parte femminile della società si deve difendere da sempre sia in ambito privato che pubblico e, probabilmente, gli uomini manco se ne accorgono della fatica di essere donna in un mondo costruito sulle ambizioni, prevaricazioni, e voleri maschili. |