Lavoro

La guerra del lavoro non conosce tregua

Ennesima strage sul lavoro in Italia: 5 operai morti asfissiati in una fogna a Palermo. Intanto la politica, travolta dagli scandali, continua a massacrare i diritti

ROMA - “Ahi serva Italia, di dolore ostello,/ nave senza nocchiero in gran tempesta,/ non donna di provincie, ma bordello” (La Divina commedia canto VI del Purgatorio, Dante Alighieri)

 

Le guerre che stanno cambiando e distruggendo il mondo appaiono lontane, sullo sfondo. È già successo nel secolo scorso che gli italiani si accorgessero della tragedia che il conflitto armato porta con sé solo quando le bombe ci arrivarono in casa. Alla politica l’Ucraina sembra lontana, in fondo si tratta solo di inviare armi tagliando un’altra fetta di welfare per essere accolti al cocktail dei club occidentali pur essendo piuttosto impresentabili; a morire sul campo – Macron permettendo – saranno solo i russi e gli ucraini mica i nostri ragazzi. Gaza è ancora più lontana e a Netanyahu, poi, le armi gliele vendiamo, mica gliele diamo gratis come a Zelensky. Per quanto riguarda invece la guerra ambientale e climatica, basta prendere tempo, rinviare più in là possibile le riconversioni, le auto elettriche e i pannelli solari ed ecco salvato per un altro po’ il modello di sviluppo che produce guerre guerreggiate e ambientali. Rinviare fino a quando? Fino alle prossime elezioni, poi, che serà serà come cantava Doris Day. È finito il tempo in cui la politica si occupava, nel bene e nel male, delle generazioni future.

 

Oltre a quelle di Gaza, di Kiev e dell’ambiente c’è una quarta guerra che alla politica italiana sembra lontana, come se non ne venisse toccata: è la guerra del lavoro che fa sempre più vittime. Ho scritto più volte su questo giornale che i morti sul lavoro fanno notizia solo se a perdere la vita sono almeno 4 o 5 operai contemporaneamente, non importa se in una fonderia o in un cantiere, in una diga o in una fogna, sui binari o nella vasca di un forno. Alle morti singole, anche se sono 4 al giorno ma in luoghi diversi, ci si abitua. Oggi siamo di fronte a un nuovo salto di qualità, la soglia dell’abitudine s’è alzata e anche 5 morti in contemporanea fanno meno scandalo e stentano a resistere per più di un giorno sulle prime pagine dei giornali e nelle preoccupazioni della politica, in particolare del governo Meloni responsabile di aver liberalizzato i contratti a tempo parziale e i subappalti a cascata, dunque le morti a cascata. La CGIL che raccoglie le firme per restituire per via referendaria dignità e sicurezza a chi lavora incontra l’ostilità delle destre di governo e persino di un pezzo consistente del Partito democratico, quella parte maggioritaria nel gruppo dirigente che si sente ancora orfana di Matteo Renzi, il killer dello Statuto dei lavoratori. “Bisogna guardare avanti e non indietro”, basta rimpianti per i diritti novecenteschi che impedivano al mercato di galoppare libero (sul corpo dei lavoratori). Quei referendum sono divisivi, dicono i dirigenti PD ipersensibili alle esigenze dei padroni, ha fatto male Elly Schlein a firmarli, soprattutto dopo che li aveva firmati Giuseppe Conte.

 

Martedì è toccato a 5 operai di dover smettere di guardare in avanti e anche indietro perché sono morti asfissiati dalle esalazioni di acido solfidrico durante un intervento di manutenzione nella rete fognaria a Casteldaccia, alle porte di Palermo. Il più anziano aveva 71 anni, perché a 71 anni in Italia si può lavorare e morire sottoterra, in una fogna, senza adeguata protezione. Con tante condoglianze alle famiglie delle vittime, naturalmente, finte lacrime e avanti tutta verso il futuro. Un futuro che non prevede diritti per chi lavora, salari decenti, rispetto per la vita. L’unica vita che va rispettata per le destre che comandano è quella dei “bambini non nati”, dunque no al diritto della donna ad abortire perché un feto vale più della donna stessa e, naturalmente, della vita di un operaio.

 

Il mercato dei voti

Bisogna capirla la politica italiana, in tutt’altre faccende affaccendata come sua eccellenza nella poesia “Sant’Ambrogio” di Giuseppe Giusti. Faccende più serie delle quattro guerre. La politica autoreferenziale è affaccendata nel tentativo di autolegittimarsi e siccome per vivere ancora da un’elezione all’altra servono soldi e voti – perché la nostra democrazia comincia e finisce nelle urne, sempre più disertate dai cittadini – allora i voti che non arrivano spontaneamente bisogna comprarli, persino dalle mafie se serve. Dopo gli scandali in Sicilia, in Puglia, in Piemonte adesso è la volta della Liguria con il presidente della regione Giovanni Toti in galera e poi ai domiciliari per corruzione: tangenti in cambio di favori, soldi e voti in cambio di concessioni trentennali al porto della città ligure a favore dell’imprenditore del settore logistico e immobiliare Aldo Spinelli, già presidente del Livorno e del Genoa, con la complicità retribuita dell’ex presidente dell’autorità portuale Paolo Emilio Signorini e generose autorizzazioni (alla Esselunga). Ricche mazzette, regali di lusso, soggiorni a Montecarlo e performance al casinò, coinvolti uomini del presidente Toti, altri imprenditori della stessa area politica (Forza Italia e suoi cespugli), magari prima transitati nel circo renziano. Si dirà: almeno questa tangentopoli ligure è tutta interna alla destra senza sfondamenti nel centrosinistra come in Puglia o in Piemonte. E invece, se vai a scavare nei detriti della post-democrazia trovi persino un ex dirigente della CGIL, prima agli edili, poi al vertice del commercio e infine ai pensionati. Venanzio Maurici, ora sospeso dal suo sindacato, è accusato di corruzione elettorale, aggravata per agevolazione ad associazione mafiosa (il clan Cammarata), i cui voti venivano traghettati nella lista di sostegno a Toti. In cambio di cosa? Un posto di lavoro per il compagno della figlia. Così almeno accusa la magistratura.

 

Il “sistema Toti” lo chiamano a Genova, un sistema marcio sostengono i giudici. Ma siccome a destra e al centro sono tutti garantisti perché sanno che domani potrebbe toccare a loro, i fulmini non vengono scagliati contro il sistema e il suo comandante ma contro i magistrati che hanno scoperchiato il puzzolente pentolone, e che si sono permessi di farlo a un mese dalle elezioni europee. Capite perché bisogna mettere la mordicchia alla magistratura? Ora, per forza di cose Toti è sospeso dalla carica ma si dice serenissimo ed è pronto a tornare, nel frattempo al suo posto c’è il vicepresidente, il leghista Alessandro Piana che solo pochi mesi fa era finito (non indagato) in uno scandalo a base di allegri festini con tanto di escort e cocaina. Qualcuno si chiede ancora la ragione del fossato sempre più profondo che divide i cittadini dalla politica?

 

Pubblicato il

09.05.2024 12:11
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