La giustizia fiscale arriva da Losanna

Una sentenza del Tribunale federale chiede di garantire la parità di trattamento fiscale tra imposte alla fonte e imposta ordinaria, concedendo le stesse possibilità di deduzioni.  

Le imposte alla fonte spariranno? L'interrogativo nasce da una recente sentenza del Tribunale federale (Tf) sul ricorso inoltrato da un cittadino svizzero trasferitosi a vivere in Francia e attivo professionalmente nel Canton Ginevra che contestava il fatto di non poter dedurre dalle tasse la spese di viaggio casa-lavoro. Le imposte alla fonte vengono direttamente dedotte dal salario in base a delle aliquote stabilite da alcuni criteri (numero di figli, se il coniuge dispone di un reddito, ecc.). Questo tipo di tassazione viene applicato ai frontalieri e ai residenti in Svizzera che non hanno il permesso di domicilio (C ) e che non sono cittadini elvetici. In gran parte si tratta di persone con permesso di tipo B. C'è però una differenza: chi ha un reddito annuo di almeno 120 mila franchi, malgrado abbia un permesso B, può fare le deduzioni previste dalla tassazione ordinaria. La stragrande maggioranza di lavoratori con permesso B ha un reddito di norma molto inferiore ai 120 mila franchi, e viene quindi tassato alla fonte senza deduzioni possibili. Tutti gli altri cittadini hanno la tassazione ordinaria, ossia compilano la dichiarazione d'imposta potendo dedurre alcune spese sostenute, quali il viaggio casa-lavoro, gli alimenti, il terzo pilastro, le ipoteche, ecc. Ora il Tribunale federale ha sentenziato che le due diverse tassazioni non rispettano sempre il principio della parità di trattamento dei contribuenti, sancito dall'accordo sulla libera circolazione delle persone.
In realtà la decisione del Tf non è una novità. In Ticino ad esempio, già nel marzo dello scorso anno, la Camera di diritto tributario aveva formulato una sentenza simile. La Corte ticinese aveva accolto il ricorso di un cittadino tassato alla fonte che non si era visto riconoscere le spese sostenute per alimenti dall'Ufficio delle imposte alla fonte. La sentenza era motivata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (Cgce): «che afferma in modo chiaro che costituisce una discriminazione dissimulata (o indiretta), fondata sulla nazionalità, un diverso trattamento del non residente che non consegue redditi significativi nel suo Stato di residenza» (Rivista ticinese di diritto, vol. II-2009).
Da più parti dunque sentenze delle massime istanze giudiziarie del paese e europee minano le fondamenta del sistema delle imposte alla fonte. Un sistema storicamente nato per semplificare il prelievo fiscale a cittadini cui sarebbe stato difficile per le autorità cantonali verificare quanto esposto nella dichiarazione fiscale perché residenti all'estero. Senza dimenticare le possibili difficoltà nell'incassare il dovuto. Va poi specificato che le aliquote dell'imposta alla fonte tengono conto, in parte, di alcune deduzioni possibili via tassazione ordinaria. Per questo motivo, il cittadino tassato alla fonte può chiedere dei correttivi di aliquota se sostiene di aver avuto spese importanti. E sono proprio i correttivi a "spaventare" la Divisione delle Contribuzioni, come conferma ad area il suo direttore, Lino Ramelli: «È chiaro che qualche preoccupazione l'abbiamo. Considerato l'alto numero di frontalieri (45mila, ndr.), il rischio di avere molte richieste di rimborso è elevato. E, con le forze di cui disponiamo, sarebbe un problema riuscire ad evaderle tutte».
Insomma, il rischio che una valanga di ricorsi di frontalieri che chiedono di dedurre le spese di trasferta possa sommergere la Divisione delle contribuzioni è concreto. «In realtà – prosegue Ramelli – non è detto che convenga sempre chiedere la parità di trattamento, poiché vi sono casi in cui l'imposta alla fonte avvantaggia il frontaliere. Ad esempio in Svizzera non viene considerato il reddito del coniuge generato in Italia e quindi non si fa il cumulo dei redditi». Nel nome della parità di trattamento fiscale, l'autorità cantonale aveva già proceduto a correggere alcune "disparità". Ma si trattava sempre di tassare maggiormente i frontalieri, nel particolare chi ha figli e il coniuge attivo professionalmente in Italia. Misure che avevano portato milioni di franchi nelle casse cantonali e ai comuni italiani di residenza dei frontalieri, grazie agli accordi di ristorni d'imposte tra i due paesi. Milioni in meno invece nelle buste paga dei frontalieri colpiti (si veda area del 16 dicembre 2005 e 24 ottobre 2008).
Oggi invece la sentenza del Tf chiede di ristabilire una parità di trattamento fiscale a favore dei frontalieri o residenti con permesso B. Una sentenza di principio dalle non chiare conseguenze pratiche future. Già nel 2008, i responsabili della Divisione delle contribuzioni affermavano: "la tendenza potrebbe essere quella di andare verso l'abolizione dell'imposta alla fonte, in favore di un'imposta ordinaria». Oggi, il direttore della divisione Lino Ramelli riconferma che questa può essere una delle soluzioni possibili. Altre vie potrebbero passare dalla rinegoziazione della Convenzione sui ristorni delle imposte dei frontalieri tra Svizzera e Italia o l'adozione di un sistema d'imposte come quello attuato da Basilea nei confronti dei "suoi" frontalieri. Ma resterebbe il problema dell'imposta alla fonte ai residenti con permesso B. «La sentenza del Tf riguarda quindi tutti i cantoni, non solo quelli con i frontalieri» conclude Ramelli. La via della soluzione passa quindi da Berna, con il coinvolgimento delle autorità fiscali federali.

Il secondo pilastro schiva lo scudo

Della serie: "quando la mobilitazione paga". Con lo "Scudo Tremonti", c'era la tutt'altro che remota possibilità che i frontalieri fossero trattati alla stregua di evasori fiscali. Una manifestazione di piazza a dicembre e una raccolta di 15 mila firme, entrambe promosse dal sindacato Unia, sono riuscite a scongiurare il pericolo per i frontalieri delle pesanti sanzioni finanziarie previste per gli evasori.
La soluzione era stata trovata attorno ad un "tavolo tecnico" il 27 gennaio presso il Ministero dell'economia e delle finanze a Roma. Seduta alla quale avevano partecipato, oltre a rappresentanti sindacali italiani della Cgil e Uil, anche delegati dal sindacato Unia. A quel tavolo, i rappresentanti dei lavoratori erano riusciti a spiegare alle autorità fiscali italiane la natura particolare del capitale del secondo pilastro. Ossia l'accumulo di capitale gestito da assicurazioni private, imposto per legge perché parte integrante del sistema pensionistico elvetico. I sindacati erano dunque riusciti a strappare dalle autorità fiscali italiane la garanzia di una circolare che avrebbe differenziato la situazione dei frontalieri.
Ma i tempi tecnici intercorsi tra la promessa e l'emanazione vera e propria della circolare avevano suscitato articoli contraddittori sulla stampa ticinese, generando dubbi sulla possibilità di considerare il secondo pilastro dei frontaliere diversamente dai capitali evasi al fisco italiano.
Ora la circolare è una realtà. La 11/E, questo il nome della circolare emanata il 13 marzo precisa che «non sono oggetto di monitoraggio fiscale le somme versate per legge a forme di previdenza complementari organizzate o gestite da società ed enti di diritto estero». In altre parole, nel caso svizzero, il secondo pilastro.
«Una buona notizia per oltre 55 mila frontalieri italiani occupati in Ticino, Grigioni e Vallese» ha commentato in una nota stampa Unia, invitando questi ultimi a presentarsi agli sportelli sindacali di Unia, della Cgil e della Uil per ricevere ulteriori informazioni.

Pubblicato il

19.03.2010 02:30
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