La fuga dal caporalato e il riscatto

Scherzano chini tra i cavoli, Ismail si alza in mezzo alle piante e guarda il compagno più vicino: «Lorè non fai niente e già ti fa male la schiena?»; intanto con il coltello pulisce il cavolfiore dalle foglie troppo lunghe e ripone la palla nella cassetta. Ridendo si alzano anche Lorenzo e Cheikh sollevando le cassette. Per stamani hanno finito la raccolta, insieme si avviano per il campo verso il trattore. Anche se è solo inizio febbraio il sole è caldo, le nuvole sono state spazzate via dal vento che si è appena alzato. Devono lavare insieme ai cavoli anche l’insalata e gli spinaci raccolti negli altri campi, preparare le confezioni per le consegne e caricare il furgone.

 

Questa è Barikama, creata come associazione nel 2011 da un gruppo di giovani africani. Molti di loro hanno preso parte alla rivolta di Rosarno del gennaio 2010, quando di fronte all’ennesimo compagno di lavoro ferito gravemente da un’aggressione razzista, centinaia di braccianti africani sfruttati negli agrumeti della zona si ribellarono. Quelle giornate ruppero per la prima volta il silenzio sulle condizioni dei lavoratori immigrati nelle campagne italiane. Arrivati a Roma, confrontandosi con esperienze di mutuo appoggio e reti di solidarietà, hanno deciso di avviare un progetto che potesse garantire almeno un po’ d’indipendenza.


Da allora sono trascorsi dieci anni, e sono riusciti a costruire una cooperativa che produce yogurt e ortaggi al Casale di Martignano, sulle rive dell’omonimo lago a 35 km dalla capitale. Non si tratta solo di un lavoro, è anche una forma di riscatto dallo sfruttamento, un’iniziativa di solidarietà che si lega ad altre esperienze alternative sul territorio, è un progetto sociale che coinvolge tramite tirocini e contratti di lavoro anche giovani italiani che manifestano un lieve disturbo dello spettro autistico, la sindrome di Asperger. Tra questi c’è proprio Lorenzo, romano, che da quasi due anni lavora ogni martedì a Martignano. Tutto questo è espresso nel nome della cooperativa: Barikama. Questa parola in Bambara, varietà linguistica parlata in Mali e nei paesi circostanti, esprime un significato di “forza” che si traduce con “resistenza”.


La cooperativa ha la propria sede e magazzino al Pigneto, storico quartiere popolare di Roma. Alle sette del mattino il cielo inizia a schiarirsi, Modibo entra nel bar all’angolo per la colazione e saluta tutti, «ce sta quello alla mela lo vuoi?» gli dice il barista indicandogli i cornetti.


Fuori fa ancora freddo aspettando che arrivino gli altri, «è cambiato qualcosa nella nostra vita» dice «da noi se non sei ricco non puoi permetterti di curarti, di comprare medicine. Se una persona a cui vuoi bene si ammala non puoi fare niente, e perdi la testa». Modibo, 32 anni, è arrivato a Lampedusa nel 2008 dal Mali, suo padre è morto quando era piccolo, per questo non ha potuto studiare e ha sempre lavorato nei campi. Come ogni mattina si incontrano al magazzino per caricare il furgone per poi dividersi tra lavori ai campi, consegne e mercati. Sono dieci i diversi mercati a cui partecipano regolarmente nel corso di un mese. A questi si aggiungono gli oltre trenta Gruppi di acquisto solidale che la cooperativa rifornisce, tra cui quello del Casale Podere Rosa, tra la Nomentana e San Basilio.


Il Mercato Trieste di Via Chiana è un mercato coperto rionale riaperto da poco. Ci sono molti banchi ma durante la settimana sono poche le persone che lo frequentano, solo il sabato è veramente vivo. Barikama è qui con i suoi prodotti e ogni giorno una persona diversa sta dietro il banco. Tony è arrivato quattro anni fa dalla Nigeria dove faceva il muratore, ha 31 anni, e ha fatto la raccolta dei pomodori a Foggia. Si siede accanto al banco e racconta: «Là davano 4 euro per ogni cassone da 350 kg riempito, era come una gara». Dopo quattro mesi Tony ha lasciato le campagne pugliesi ed è venuto a Roma, qui ha iniziato come tirocinante e poi è stato assunto a lavorare con Barikama. Sorride e si interrompe per servire una cliente.
Il vento è gelido, ma il sole riscalda la cabina del furgone. A quest’ora non dovrebbe esserci troppo traffico sul raccordo ma per qualche motivo tra la Nomentana e l’uscita 14 è tutto fermo. «Quando siamo arrivati da Rosarno abitavamo nelle occupazioni, andavamo alle manifestazioni per ottenere i documenti, ma non riuscivamo a trovare un lavoro regolare. È iniziato tutto all’eXSnia, un centro sociale occupato sulla Prenestina, quando un’amica ci ha proposto di fare lo yogurt. All’inizio riuscivamo a ricavare solo 5 o 10 euro a testa, che però almeno ci permettevano di chiamare a casa» racconta Cheikh seduto al volante. «Facevamo là lo yogurt, con le pentole, poi nel 2014 abbiamo costituito la cooperativa. Cercando un luogo adatto per la produzione dello yogurt abbiamo trovato il Casale di Martignano. Ci siamo accordati con l’Azienda agricola Eredi Ferrazza, prima per l’utilizzo del caseificio e dei macchinari per la produzione dello yogurt, poi per la coltivazione di terreni inutilizzati nell’area del Casale». Oggi Barikama coltiva 6 ettari a orto e lo scorso anno ha prodotto fino a 200 litri di yogurt la settimana, l’azienda concede l’uso dei terreni e del caseificio per una quota sui ricavi degli ortaggi e sulla produzione dello yogurt.


Cheikh ha 34 anni, in Senegal era calciatore e studiava biologia all’università, era andato a Lisbona per fare un provino per il Benfica, andò male. Si spostò in Italia, lavorando a Foggia e a Rosarno. «Quando lavoravo nei campi mi guardavo intorno e facevo sempre i conti, a Rosarno lavoravano con me tra 200 e 300 persone senza contratto, per almeno un mese. Non è possibile che nessuno lo veda. Come fanno a evadere tutti quei soldi?». Ma non è l’unica cosa che Cheikh non capisce. «Perché le persone ascoltano Salvini e non si chiedono il perché dell’immigrazione? Io penso che nessuno vuole emigrare, a me piacerebbe stare con la mia famiglia, restare a casa. Quelli che sfruttano qui sono gli stessi che sfruttano in Africa, anche se cambiano le facce».


Pochi colpi secchi con la testa della piccola zappa, legno contro legno, e il picchetto è piantato. Aboubakar insieme a Saydun sta mettendo di nuovo in posizione le manichette dell’irrigazione a goccia dell’orto dove le piante di fagiolini che stanno crescendo sono già fiorite «Questa è una zappa africana, ne ho una per ogni lavoro, tutte diverse». Prima Barikama non riusciva a lavorare tutti i sei ettari di terreno, ma lo scorso anno, grazie all’aiuto di un’associazione, sono riusciti a comprare un trattore. «Lavoravo i campi anche in Mali, da quando ero piccolo, ma da noi si coltivano soprattutto cotone, mais, riso che hanno bisogno di meno cura e lavoro rispetto all’orto, era più comodo» dice Aboubakar. «A me prima piaceva lavorare in agricoltura, adesso no, vorrei un lavoro più comodo. Ma è difficile trovare qualcos’altro».


Saydun viene dal Gambia, anche lui ha sempre lavorato nei campi: «La terra qui è buona, è vulcanica, è più fertile e le piante si ammalano poco. Anche se come cooperativa sociale non possiamo avere la certificazione facciamo il trattamento biologico, noi facciamo tutto in modo naturale» dice indicando i terreni che si estendono in parte sopra il casale e il maneggio, in parte lungo la sponda settentrionale del Lago di Martignano.
Intanto il trattore blu attraversa il campo, esibisce un grosso fiocco bianco perla sul cofano, potrebbe aprire un corteo nuziale. Modibo lo guida con destrezza, sta passando con la zappatrice nel campo in cui Saydun e Aboubakar stanno piantando le insalate. Da quando hanno il trattore è molto cambiato il loro lavoro, Barikama adesso è più autonoma e può direttamente effettuare lavori nei campi che coltiva, ma può anche prestare con i mezzi la propria opera a chi ne necessita. Proprio Modibo infatti dopo aver terminato il lavoro nell’orto passa con la zappatrice intorno alla nuova pista delle Scuderie di Martignano. Antonio, che da alcuni anni ha preso in affitto la struttura rimettendola a nuovo, conosce molto bene l’attività di Barikama, e ha chiesto loro di fare alcuni lavori con il trattore sui terreni del maneggio in cambio di concime per i campi.


A pochi metri dal campo Cheikh controlla il peso delle cassette appena confezionate prima di caricare il furgone e spiega che nella cooperativa «ogni mese si fa il conto delle spese, si accantona qualcosa per mantenere un fondo cassa, e quel che resta si divide». Tutti i soci prendono lo stesso stipendio «non è molto alla fine, ma il 2019 è andato bene, in media 500 euro mensili, 700 negli ultimi mesi dell’anno. In estate per un mese abbiamo rinunciato allo stipendio, ma non siamo andati in perdita». Secondo Cheikh adesso l’obiettivo è quello di acquisire maggiore autonomia, estendere la distribuzione, e aumentare la vendita all’ingrosso per garantire uno stipendio stabile a tutti. Crescere mantenendo la forma cooperativa.


Seguendo l’odore del latte si trova il caseificio. Il giovedì è il giorno dello yogurt, però c’è solo Modibo, che è arrivato presto la mattina. Tony ha un appuntamento in questura per il permesso di soggiorno, gli altri sono impegnati con i mercati e le consegne. Nella fretta ha pure lasciato gli abiti da lavoro sul furgone. Lo yogurt non si può rimandare, deve essere fatto ogni settimana ed è uno dei prodotti più richiesti e che rendono di più.
Infatti ci sono anche vari negozi che ne fanno richiesta e ristoranti che lo acquistano per le colazioni o per preparazioni di pasticceria. Intanto riempie con una brocca di latte i barattoli disposti nella vasca di preparazione dello yogurt. A fine giornata i barattoli, ormai raffreddati, vengono riposti nelle celle frigorifere del caseificio.


Spesso Modibo fa tardi a Martignano, e impiega più di due ore a tornare a casa con i mezzi pubblici a Torrenova, dove abita, alla periferia di Roma. Oggi ha trovato un passaggio diretto a casa, ma con il traffico è comunque un’avventura. Nessuno lo saluta al bar vicino casa quando si ferma a bere un succo di frutta, di solito va direttamente a casa. Con il suo coinquilino, anche lui del Mali, pagano 500 euro per una casa al piano terra sul retro di un condominio popolare. Le tre piccole stanze sono piene di umidità, ma la casa è accogliente, e la cucina è sempre aperta per gli ospiti. Modibo dalla prossima settimana inizierà a lavorare a Martignano come aiuto cuoco nell’agriturismo del Casale, è un lavoro che gli piace. Mentre mette a soffriggere la cipolla racconta: «Voglio cambiare casa, questa è troppo umida, ma nessuno si fida di noi, è difficile trovare case in affitto», vorrebbe una sistemazione più stabile.


Arrivano in tavola fumanti gli spaghetti al tonno di Modibo, il profumo fa crescere la fame, e tutti si siedono intorno al piccolo tavolino della camera, si mangia.

Pubblicato il

26.03.2020 16:52
Giacomo Sini e Dario Antonelli