Partono per mille motivi, in mille modi, come possono. Arrivano a destinazione su navi cargo stracariche, stipati in un Tir o attraverso percorsi insidiosi disegnati dai passatori. Stanchi, stremati, impoveriti ed impauriti, con la sguardo perso dove speranze e dubbi hanno lo stesso colore, arrivano alle frontiere del benessere e si trovano davanti, spesso, un muro. Il muro che l’Unione europea, costruita sui «pilastri» della libera circolazione delle merci e dei servizi, erige per «proteggere» le sue frontiere dagli immigrati, dai clandestini. Da quegli intrusi che forse non rappresentano neppure forza lavoro da sfruttare, ma «solo» bocche in più da sfamare. Sì, perché i paesi europei continuano a riprodurre la classica associazione «immigrazione-insicurezza-crisi economica». La politica di immigrazione dell’Unione europea, ispirata ai principi più retrogradi e perennemente in bilico nel rispettare i diritti dell’essere umano, ha privilegiato finora una gestione poliziesca e utilitaristica dei flussi migratori. Quel che accade in questi giorni nella vicina Penisola, al di là dei deliri di Umberto Bossi (farneticazioni a proposito di una combutta internazionale per minare la sovranità del paese) – ne è un esempio lampante. L’Italia e gli altri paesi dell’Unione sembrano prigionieri di un concetto, ormai superato, che consiste nel difendere a denti stretti uno spazio in cui gli extracomunitari sono gli ospiti indesiderati. È così che l’Ue, rendendo più fitte ed impenetrabili le maglie delle sue frontiere, diventa fortezza invalicabile. Un atteggiamento che conferma, semmai ce ne fosse ancora bisogno, l’incapacità dei Quindici ad adattarsi alle conseguenze generate dai profondi cambiamenti economici. Non è trasformando l’Europa in una terra arida ed ostile che si affrontano i problemi dell’immigrazione. E neppure sganciando i flussi migratori dagli altri settori dell’azione politica internazionale. La globalizzazione dell’economia, che preme sui paesi in via di sviluppo fino a spingere fuori dai confini nazionali migliaia di disperati da sfruttare sui mercati più fiorenti, è parte di questo processo. Come pure la negazione dei diritti dell’essere umano. I flussi migratori sono anche questo: figli dell’ingiustizia e della disuguaglianza a cui l’Occidente presta, in definitiva, un sordo ascolto.

Pubblicato il 

22.03.02

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