La fine del partito mai nato

Renzi decreta la morte del PD e i fuoriusciti si preparano a costituire una nuova forza politica di sinistra, ma manca un progetto

C’era una volta il Pd, anzi non c’era. È un partito mai nato quello che doveva superare il conflitto che ha diviso (e riempito di senso) l’intero Novecento fino a Tangentopoli. Sarebbe stato un miracolo, un’unione contro natura, fondere in un monstrum i due storici antagonisti, Dc e Pci, sciolti la prima dai giudici e il secondo da una dubbia interpretazione della caduta del muro di Berlino e una squinternata previsione occhettiana: la scomparsa del comunismo segnerà la fine dell’anticomunismo e la sinistra potrà infine occupare la stanza dei bottoni. Quella che illegittimamente è stata chiamata sinistra o più pudicamente centrosinistra ha occupato sì la stanza dei bottoni in alternanza con Berlusconi, ma introiettando i valori della destra e l’anticomunismo.


Il Pd non esiste più, comunque vada a finire la sceneggiata di chi ancora si chiede “mi si nota di più se resto o se me ne vado?”. Tra chi resterà c’è anche chi critica Renzi ma sogna di sfidarlo alle primarie o indurlo a più miti consigli. A decretare la fine del sogno prodiano è stato il rottamatore di idee, l’uomo solo al comando il cui obiettivo era liberarsi di ogni voce critica per procedere indisturbato verso il PdR, libero da radici e identità vissute come catene. E dire che era riuscito a smantellare i diritti dei lavoratori e molto altro, piegando la frammentata opposizione interna; quel che non gli è riuscito è l’omicidio della Costituzione e al referendum che voleva stravincere ha preso una gran sberla, trovandosi contro, con la maggioranza dei cittadini, una parte del suo partito. A cui, in questo scorcio di autunno politico, non concede nulla e calcola i posti liberati dalla scissione alle elezioni (lo dice fuori onda il fedele Del Rio). Sembra non preoccuparlo la perdita del presidente della sua Toscana (Rossi) e di quella possibile della Toscana del sud, la Puglia di Emiliano. Non vede l’ora di liberarsi di Bersani e D’Alema. Di Cofferati, Fassina e Civati si era liberato in anteprima. La Cgil l’aveva già messa al bando e ora l’ex segretario Epifani guida gli “scissionisti”. Renzi pensa di avere con sé il popolo del Pd e di sostituire chi se ne va con nuove sponde a sinistra, l’ex sindaco di Milano Pisapia e gli scissionisti di Sel che non entrano in Sinistra italiana per offrirsi a lui. Il congresso di Sel che ha dato vita a Si ha scelto una rotta antirenziana e anti governativa, poiché Gentiloni è l’ombra stinta di Renzi.


Pensare a un nuovo partito tra chi esce dal Pd (il nuovo gruppo parlamentare potrebbe chiamarsi Nuova Sinistra) e Si, con dentro anche Pisapia e Civati sarebbe un tentativo di riannodare i rapporti con le figure sociali colpite dalla crisi, con il Sud, con gli operai che il Pd ha sostituito con Marchionne e i padroni. Non scontato, però: i fuoriusciti non hanno un progetto e intendono sostenere il governo Gentiloni, essendo gli stessi che per troppo tempo hanno flirtato con quello che Rossana Rossanda, in una lettera al congresso di Sel, continua a chiamare “nemico di classe”. Neppure ha chiarito, la presunta Nuova Sinistra, se la lotta di classe è davvero finita con la vittoria della classe dominante o non è invece più che mai attuale. Un terreno possibile di unità è la battaglia sui referendum della Cgil: uno per l’abolizione dei voucher, il secondo per la responsabilità di filiera dell’impresa committente. Il più importante, per il ripristino dell’art.18, è stato bocciato dalla Consulta.

Pubblicato il

22.02.2017 10:43
Loris Campetti