«La diseguaglianza è cresciuta»

Il Novecento, "il Secolo breve". Così lo definì lo storico Eric J. Hobsbawm, per essere durato, storicamente parlando, poco meno di 80 anni. Hobsbawm segna quale data d'inizio come periodo storico del Novecento lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914 per terminare nel 1991 con la dissoluzione dell'Unione Sovietica. Marco Revelli ne condivide la scelta delle date, anche se indica la caduta del Muro tedesco del novembre 1989 come la fine simbolica di un'epoca. Quella data per Revelli coincide con la fine di un periodo tumultuoso, di un secolo contradditorio. Un secolo breve nel quale le ideologie opposte si confrontarono anche duramente. Il crollo del Muro di Berlino segnò la fine della Guerra Fredda con la vittoria del capitalismo e della democrazia rappresentativa di tipo occidentale sul socialismo reale dei paesi dell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (Urss).
Secondo Revelli, la vittoria di un fronte lasciò ugualmente irrisolti i grandi problemi sociali per cui ci si era tanto appassionati, e confrontati anche in maniera violenta, nel corso del secolo breve. Grandi questioni sociali irrisolte che si trascinano ancora oggi, senza che se ne veda una via di uscita. Per Revelli, e molti altri illustri osservatori della società quali il filosofo Norberto Bobbio, destra e sinistra si sono combattute lungo tutto il Novecento sul rapporto tra eguaglianza e diseguglianza.
Per la sinistra l'eguaglianza tra esseri umani è la regola, la diseguaglianza è l'eccezione. Per la destra invece è vero il contrario. Con la sconfitta, la ricerca dell'eguaglianza, il filo rosso dei movimenti di sinistra del Novecento, è stata espulsa dall'agenda politica. Se il compromesso socialdemocratico aveva in parte ridotto il divario sociale, dopo il crollo del Muro, le distanze sociali sono nuovamente esplose: «tanto da apparire oggi insuperabili» afferma Revelli. «Non parlo solo degli enormi divari mondiali tra i paesi altamente industrializzati e non, ma all'interno delle società degli stessi paesi ricchi».
Dunque, se con il crollo del Muro è crollata anche la rappresentanza sociale della sinistra e dei suoi valori, messi in crisi dal socialismo reale che messo a nudo ha mostrato tutte le sue debolezze e le sue contraddizioni, che ne è del mondo del lavoro, delle diseguaglianze sociali sempre presenti nella società del nuovo secolo? Perché il valore dell'eguaglianza è scomparso malgrado le differenze sociali continuino ad esistere, forse più importanti di prima?
In compagnia di Revelli compiamo un piccolo viaggio tra le macerie di una società alla ricerca d'identità.  

Professor Marco Revelli, una volta lei ebbe a dire: «La sinistra novecentesca è morta». Cosa intendeva?
Il valore mobilitante dell'eguaglianza è stato il filo rosso che ha attraversato la parte migliore del Novecento. Un valore che ha animato le masse popolari, emerso con la nascita del movimento socialista, con la formazione dei partiti dei lavoratori e dei sindacati. Tutto questo è stato messo in crisi con la caduta del muro. In parte perché il crollo del socialismo reale ne ha indebolito l'idea, evidenziandone dei limiti. Ma è venuto meno anche il progetto politico di utilizzare la forza sociale per conquistare potere nello Stato alfine di modellare una società più giusta. Quel meccanismo si è rotto perché l'apparato statale oggi non ha più la forza che aveva nel contesto del Novecento. La distribuzione della ricchezza non passa più dalla ridistribuzione operata dalla Stato, perché nel contesto della globalizzazione la ricchezza è diventata sovranazionale. È dunque sparito lo strumento tecnico, lo Stato, per realizzare quel progetto. La diseguaglianza invece è cresciuta enormemente.
Il principio dell'eguaglianza riuscirà mai a riprendersi ?
Non so se si potrà. Io dico «si deve». Un mondo senza una forza che riesca a far valere questi valori, sarà un mondo di atomi competitivi e predatori che cercano di superarsi l'uno con l'altro senza preoccuparsi del destino collettivo. Sarà un mondo invivibile.
Le classi sociali esistono ancora ?
Esse sono il prodotto di due elementi. Il primo è una comune condizione economica e produttiva ; il secondo è un fattore culturale: la consapevolezza di far parte di una classe. Oggi siamo in presenza di una crisi dei due elementi. Ricordiamoci cosa significava un tempo sentirsi parte di una classe sociale forte e in ascesa. Tutto questo è venuto meno. La rappresentanza oggi non è più di corpi o gruppi sociali, ma di atomi. Gli strumenti di identificazione sono ormai infiniti. La società della comunicazione offre mille possibilità per identificarsi: dal complesso rock alla squadra di calcio, dalle scarpe firmate all'auto che si compra, e così via. Sono soprattutto i beni di consumo a determinare le identità.  Che però restano piccole e parziali. La difficoltà odierna è dare un senso collettivo. Più che rappresentanza oggi si sta dentro un meccanismo di rappresentazione, diventando spettatori-tifosi di un qualche attore sociale che sulla scena politica rappresenta la propria parte. E in Italia abbiamo un vero maestro in questo campo: Silvio Berlusconi.
La sinistra sembra aver perso terreno anche nel suo rapporto con il territorio, sostituita da altre forze sociali…
Questa è la grande tragedia. La sinistra ha pensato di potersi salvare con un'operazione linguistica senza chiedersi le ragioni profonde del suo fallimento. Si è illusa di liberarsi della propria storia come una zavorra per potersi librare nell'aria nel nuovo secolo. Cosi facendo ha perso il suo radicamento nel territorio. Negli anni 70, i militanti di sinistra erano dei compagni di vita. Li trovavi tutti i giorni nei posti di lavoro o nei quartieri. Ti aiutavano a dare un senso a ciò che avveniva e ad organizzare una resistenza. Oggi la rappresentanza di sinistra si è evaporata nei talk show. La sinistra si è fatta virtuale, lasciando campo libero al corpo mostruoso populista delle leghe che sostituiscono i militanti di sinistra sui posti di lavoro, nei paesi, nei caffé, nei luogo d'incontro.
La sinistra veicolatrice del valore dell'eguaglianza è sparita perché è crollato il Muro o perché è stata incapace di comprendere la trasformazione del mondo del lavoro e della società ?
La caduta del Muro è un singolo evento rivelatore di un processo di cambiamento sociale invisibile perché agisce in profondità tanto da diventare quasi impercettibile. Da un modello industriale di una grande fabbrica meccanizzata che lavorava con la logica della catena di montaggio per un mercato di consumo di massa (il modello fordista), si è passati ad un modello opposto con l'atomizzazione, l'esternalizzazione, la delocalizzazione del lavoro, la creazione di una lunga filiera di produzione (il modello postfordista). Oggi le produzioni sono anche immateriali. Non sono più solo costituite da ferri e metalli, ma da bit e messaggi. Tutto questo ha cambiato il mondo del lavoro e messo fuori gioco l'azione collettiva, che era la grande risorsa della sinistra.
I sindacati hanno ancora un ruolo da giocare in questo scenario?
Devono, perché altrimenti il mondo del lavoro rimane nudo. Se ci fosse un cedimento strutturale della forza sindacale, già indebolità negli ultimi venti anni, sarebbe un disastro. Dio solo sa quanta necessità c'è di difendere i lavoratori. Il sindacato ha una funzione indispensabile: evitare che la disgregazione a cui è sottoposto il mondo del lavoro sia totale.  Sulla base di tutela concreta di interessi materiali quotidiani e non su rappresentazioni mediatiche.
Quale significato dare alla lotta degli operai della Innse nello scenario sociale da lei presentato?
Sono le lotte del postfordismo, dove non avendo più quella massa d'urto (il gran numero), si mette in gioco l'unica cosa che si possiede veramente : il proprio corpo. Credo che si moltiplicheranno queste forme di lotta. Sono la forma che assume il conflitto sociale nel momento in cui il contesto non permette più quegli accumuli di forza collettiva tipici del Novecento.


Marco Revelli
È autore, insieme a Scipione Guarracino e Peppino Ortoleva, di uno dei manuali di storia più diffuso nelle scuole italiane: "Dall'assolutismo alla nascita delle nazioni". Oggi è titolare delle cattedre di Scienza della politica, Sistemi politici e amministrativi comparati e Teorie dell'amministrazione e politiche pubbliche presso la Facoltà di Scienze politiche dell'Università degli studi del Piemonte orientale. Tra i molti temi da lui trattati, si è occupato dell'analisi dei processi produttivi (fordismo, post-fordismo, globalizzazione), della "cultura di destra" e, più in genere, delle forme politiche del Novecento. Tra le sue numerose opere, segnaliamo: "Oltre il Novecento. La politica, le ideologie e le insidie del lavoro" e "Sinistra Destra: l'identità smarrita".

Pubblicato il

06.11.2009 03:30
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