La difficile partita venezuelana

Crisi economica e rischio guerra civile, il paese ha urgente bisogno di una via d’uscita. Il Papa e Putin uniscono le forze

Adesso il prossimo round è fissato per ottobre quando si terranno, salvo sorprese, le elezioni amministrative previste nel dicembre 2016, che l’opposizione chiedeva con insistenza convinta di vincerle in carrozza e il governo di Nicolás Maduro aveva rinviato.
L’annuncio del presidente della repubblica ha scombussolato la Mud, il Tavolo della Unità Democratica (che tanto unito e tanto democratico non è) in cui siedono i 28 partiti dell’opposizione anti-chavista. Alcuni hanno scelto di partecipare, convinti che l’onda lunga delle elezioni parlamentari del dicembre 2015 che diedero la maggioranza qualificata del parlamento al fronte anti-chavista, continuerà e sarà capace di superare i prevedibili ostacoli giuridico-legali. Altri hanno invece annunciato il boicottaggio.


L’insediamento il 4 agosto della controversa Assemblea Nazionale Costituente (Anc) sembra aver momentaneamente calmato le acque almeno sul fronte interno, dove la strategia della tensione negli ultimi mesi aveva portato l’opposizione in piazza quasi ogni giorno con la scia di violenze contrapposte e di sangue (più di 120 morti), e in apparenza ha fatto spazio al fronte esterno. Con l’irruzione a gamba tesa del presidente Usa Trump, prima (11 agosto) evocando «l’opzione militare» (naturalmente in difesa «della democrazia» e dei «diritti umani», contro «la dittatura», bla bla bla), poi (25 agosto) con nuove sanzioni (salutate con entusiasmo dall’opposizione) come la proibizione di negoziare il debito emesso dal governo di Caracas e dalla Pdvsa, la compagnia petrolifera venezuelana. L’obiettivo evidente è strangolare un’economia già asfissiata su cui incombe il pagamento entro quest’anno di almeno 8500 milioni di dollari del debito per evitare il rischio default, mentre l’inflazione si divora salari e prezzi al ritmo vertiginoso del 20 per cento al mese e il prezzo del barile continua (e secondo le previsioni continuerà) a essere di molto inferiore al minimo necessario: dovrebbe essere sui 70 dollari, mentre nel 2016 il prezzo medio del paniere del greggio venezuelano è stato di 35,15 dollari, la metà. Gli accordi nel campo petrolifero, dei crediti e degli investimenti con la Russia e la Cina non bastano. E Maduro dice di aspettarsi da Washington, dopo le sanzioni, anche un imminente “blocco navale” per impedire le esportazioni petrolifere. Che rappresentano il 96 per cento degli introiti di divise.


All’interno ma anche intorno al Venezuela si sta giocando una partita di straordinaria importanza.
Può non piacere la gestione del successore di Hugo Chávez, Nicolás Maduro. Può essere che la decisione di giocarsi la carta – il jolly – dell’Anc, che in pratica azzera il parlamento in mano all’opposizione e compie il miracolo di fare del potere costituente lo specchio fedele del potere costituito, rappresenti, nonostante sia previsto dalla costituzione chavista del ’99, uno strappo della “legalità borghese” e della “democrazia rappresentativa” (d’altra parte la Repubblica bolivariana si definisce una democrazia partecipativa). Può darsi che i ricorrenti rumori e denunce (anche in questo caso reciproche) di ruberie e corruzione per milioni e milioni di dollari a carico della nomenclatura chavista, da Maduro a Diosdado Cabello, il numero due, non siano tutte prive di fondamento. Ci si può rammaricare che il “socialismo bolivariano”, una sorta di promettente terza via, sia andato progressivamente definendosi come un modello tendenzialmente autoritario, eccessivamente burocratico e centralizzato (alla cubana, se si può dire).


Ma non si può dimenticare il fatto che sono 20 anni che l’opposizione al chavismo medita e prova la rivincita, anzi la vendetta. E che il processo di delegittimazione, che tanta indignazione provoca nella nuova America latina tornata a destra e nella democratica Europa, è reciproco. Se nell’ottobre 2016 il chavismo ha bloccato con metodi spicci l’iter del referendum revocatorio contro Maduro chiamato dall’opposizione, all’inizio di quell’anno il primo atto di Henry Ramos-Allup, il presidente del nuovo parlamento anti-chavista, fu l’annuncio che «entro sei mesi» Maduro sarebbe stato cacciato dal palazzo di Miraflores. È uno scontro che non prevede prigionieri.


Maduro non è Allende, ma...
Nicolás Maduro non è Salvador Allende, ma il parallelo Cile 1973 - Venezuela 2017 inevitabilmente si fa strada. Ed è un brutto richiamo. Non solo perché ci ricordiamo di come andò a finire in Cile ma anche perché la polarizzazione in Venezuela e il suo progressivo isolamento-accerchiamento a livello latino-americano ed europeo scatena il meccanismo binario “o con noi o contro di noi”, alimenta l’anatema manicheo contro i “ni-ni” - i “traditori” e i “venduti” sovente chavisti disillusi e critici contro la gestione Maduro-Cabello ma sicuramente gente di sinistra – che non stanno “né” con Maduro “né” con l’opposizione. Se fosse vero che nella guerra civile strisciante in Venezuela ormai tertium non datur, le prospettive si farebbero ancora più cupe.


Razionalmente di vie d’uscita se ne vedono poche. Una potrebbe essere un bel golpe militare, invocato dall’opposizione pure se giura di no, anche se i militari sono molto ben inseriti, e non a caso, nell’apparato politico ed economico chavista (su 32 ministri 11 sono militari, 11 dei 23 governatori sono ex-militari). Ma con un paese spaccato a metà e una crisi economico-sociale lacrime e sangue, governare sarebbe complicato per chiunque e di Pinochet, per fortuna, sembra difficile trovarne sulla piazza.


Se non si vedono soluzioni razionali – la più ovvia ma anche la più lontana sarebbe un dialogo non fasullo fra le parti – bisogna affidarsi al buon dio e ai suoi rappresentanti in terra. Papa Bergoglio ha già tentato una mediazione ma senza successo, ora ci riprova con il suo numero due, il cardinale Pietro Parolin. Il segretario di stato, che in passato fu nunzio vaticano in Venezuela, è appena tornato da Mosca dove ha incontrato il presidente russo Vladimir Putin e il suo geniale ministro degli esteri Sergey Lavrov. Parolin ha detto pubblicamente che la Russia, stretta alleata di Maduro, «può giocare un grande ruolo» in favore della pace e del dialogo nel mondo e in particolare in Venezuela. Bergoglio e Putin? Il diavolo e l’acqua santa? Le vie del Signore sono infinite e il Venezuela ha bisogno di trovarne una.

Pubblicato il

31.08.2017 15:03
Maurizio Matteuzzi