La differenza principale tra la maggioranza di destra-destra e la minoranza (ci vorrebbe una dose smisurata di ottimismo per chiamarla opposizione) di centrosinistra non sta nel giudizio sul neoliberismo che ha i suoi sostenitori in entrambi gli schieramenti, sia pure con toni, convinzioni e pratiche in parte differenti. Mercatismo, deregulation, privatizzazione dei servizi essenziali e abbattimento dei diritti dei lavoratori hanno caratterizzato e continuano a caratterizzare le politiche dei governi che si sono succeduti nel corso del XXI secolo. La differenza principale non sta neppure nel tema dei temi che caratterizza questa fase storica, forse la più drammatica e preoccupante dalla fine della Seconda guerra mondiale: la guerra e il riarmo. Giorgia Meloni sostiene l’Ucraina anche con l’invio di armi, sia pure non utilizzabili in territorio russo e si inginocchia al volere della Nato ma la sua maggioranza è divisa, il cuore di Salvini batte al Cremlino e non evita di ricordarlo sapendo di fare breccia sia in Fratelli d’Italia che persino tra i postberlusconiani. A sinistra il Pd è per sua natura diviso e sulla partecipazione sia pure indiretta dell’Italia al conflitto Russia-Ucraina in sede europea vota in cinque modi diversi. Solo la minoranza degli italiani continua a sostenere l’invio di armi a Zelensky, ma di questo alla politica di ogni colore frega poco. Il M5S e l’associazione Verdi-Sinistra sono contro la guerra senza se e senza ma, però a Strasburgo il gruppo dei Verdi sposa la via delle armi e la Sinistra si spacca in due e persino all’interno della Gue emergono opposti punti di vista. Potremmo continuare a elencare mancate differenze tra destre e centrosinistra. Ma allora, qual è la differenza principale che connota i due schieramenti? È la capacità di ricompattarsi e andare avanti dei fratelli coltelli al governo nonostante tutto, nonostante cioè le divisioni sulla guerra, sul giudizio da dare sui neonazisti che sbancano in Germania e Austria tra i fischi di Tajani e gli applausi a scena aperta di Salvini, così come sulle politiche migratorie e l’accoglienza dove Forza Italia sostiene lo ius scholae, ma solo a chiacchiere per non essere accusata di intelligenza con il nemico. FdI, Lega e Fi sono come i ladri di Pisa che secondo un’antica voce popolare litigano di giorno e di notte vanno insieme a fare le rapine. Al contrario, a sinistra (absit iniuria verbis, sia detto senza offesa) si litiga sull’immigrazione, sulla guerra, sulla Rai, sulle alleanze elettorali e poi ci si continua a dividere tra aventiniani e collaborazionisti al momento del voto, meglio dire dei voti. Non come i pisani che marciano divisi per combattere uniti, ma divisi sia di giorno che di notte. Nessuna prospettiva unitaria a sinistra Il campo largo non esiste più. Parola di Giuseppe Conte che prende al balzo l’ambiguità di Elly Schlein sul rapporto con lo sfasciacarrozze Matteo Renzi per decretarne la morte. Conte lo fa anche in vista della sua assemblea congressuale con cui intende modificare la ragione sociale, le regole e persino il nome del Movimento 5 Stelle, contro cui si è scatenato il fondatore Beppe Grillo, autonominatosi “l’elevato”, che vede come il fumo negli occhi l’ingresso della sua creatura nel campo del centrosinistra. Un magari momentaneo scatto di autonomia potrebbe aiutare Conte a sconfiggere o almeno a calmare le ire di Grillo e grillini residuali. In più, Conte che è stato premier di due governi di colore opposto non è disposto a dare per scontata la leadership di Elly Schlein nel campo largo o come lo si voglia chiamare. Ma intanto, rischiano di saltare le alleanze e i candidati unitari nelle prossime elezioni regionali in Liguria, Umbria e soprattutto Emilia Romagna. Per sostenere il candidato presidente scelto dal Pd Conte ha imposto, ragionevolmente, che in Liguria non compaia la lista di Italia Viva (il micropartitino di Renzi), che però potrebbe presentare suoi candidati in altre liste (del resto, lo stesso Pd è falcidiato dal morbo renziano). Renzi sostiene il sindaco di Genova che ora è candidato dalle destre alla presidenza della Liguria, ma pur di mandare in pezzi il Pd, M5S e l’intero schieramento di centrosinistra ha annunciato il suo sostegno a Orlando del Pd. Stesso percorso in Umbria, mentre il problema più serio è in Emilia Romagna dove Renzi non intende rinunciare al suo simbolo, dato che già oggi è nella maggioranza del governo regionale di centrosinistra. Il rischio è che saltino tutti gli accordi, persino in Umbria e Liguria e la destra vinca ovunque. Dei secondi fini del M5S abbiamo detto. Per quanto riguarda invece il Partito democratico, più che di secondi fini bisognerebbe parlare di un partito mai nato, puro assemblaggio di correnti e interessi diversi che la segretaria Elly Schlein non riesce a governare. Un compito improbo per lei, che pure ce la mette tutta per dare una prospettiva unitaria e persino un po’ di sinistra al maggior partito di centrosinistra. Con un gruppo parlamentare europeo egemonizzato dai renziani, con il presidente del Copasir Guerini che inneggia alle armi e alla guerra e Gentiloni alla Von der Leyen e si potrebbe continuare nell’elenco, difficile per Schlein liberarsi del rottamatore, l’eroe del jobs act, il killer dello Statuto dei lavoratori, il conferenziere ben retribuito di bin Salman. Un primato a Matteo Renzi va riconosciuto: la capacità di abbattere governi amici e alleati, e alleanze prima ancora che si formino. Se poi mettiamo in conto anche la sindrome di Stoccolma del Pd, il gioco è fatto e la destra continuerà a vincere e a governare. Come nella mitologia greca la “Speranza” è “ultima dea”, anche la speranza di un rinsavimento e di una crescita di chi si oppone alla guerra, al liberismo e al fascismo va coltivata. |