Chi può dimenticare il giuramento in piazza Tahrir, il 29 giugno 2011, dell’ex presidente Mohammed Morsi, quando mostrò il petto, spavaldo, incurante di ogni possibile attentato? I l nuovo faraone, Abdel Fattah al-Sisi è invece già intoccabile: non ha partecipato a eventi pubblici in campagna elettorale né ha preso parte all’acclamazione in piazza per il suo insediamento. Dopo la vittoria di Pirro, costata migliaia di vite umane, con scarsa partecipazione al voto, Sisi tornerà nella torre d’avorio dove risiedeva Mubarak. L’ex generale è il nuovo presidente egiziano con il 97% dei suffragi, plebiscito che nasconde molte ombre. Prima di tutto la bassa affluenza, ferma al 47%, secondo fonti ufficiali: segno della disaffezione degli egiziani ad aderire ai meccanismi di continua riproduzione del sistema autoritario. Proprio per la bassa affluenza, la Commissione elettorale ha preso l’inedita decisione di estendere il voto per un terzo giorno, con il pretesto del caldo eccessivo. Sisi ha formalizzato solo a marzo la sua candidatura. I militari hanno bocciato l’altro uomo forte, ex capo dello staff dell’esercito, Sami Annan, che non è sceso in campo dopo aver subito minacce, secondo la sua versione. A quel punto il generale Sedki Sobhi, amico di Sisi, duro oppositore dei movimenti operai, ha preso il suo posto al ministero della Difesa. In campagna elettorale Sisi ha puntato sull’esclusione dalla scena politica della Fratellanza. Gli islamisti hanno subito la repressione più dura dagli anni Novanta, culminata in 700 condanne a morte per gli scontri seguenti alla strage di Rabaa el Adaweya. Sebbene il movimento sociale di piazza Tahrir del gennaio 2011 si sia trasformato subito in un colpo di stato militare, l’esercito ha agito con molta cautela per riprodurre il consueto rapporto tra élite politica e militare, intervenendo sul potenziale rivoluzionario dei movimenti di piazza. L’incontro in piazza Tahrir tra gli organizzatissimi Fratelli musulmani e i giovani rivoluzionari ha immediatamente disattivato il potenziale del movimento. In un secondo momento, gli islamisti sono stati usati dall’élite militare per dimostrare al popolo egiziano che l’esercito, e solo l’esercito, è in grado di riportare il paese alla “stabilità”. E così le forze armate hanno di nuovo azzerato la distinzione tra politici e militari intervenendo direttamente per annullare la rivoluzione del 25 gennaio 2011 con il colpo di stato del 3 luglio 2013. Da quel momento i militari hanno imposto la vendetta verso gli islamisti e un controllo scientifico sulla società egiziana. Il potenziale rivoluzionario dei movimenti di piazza è stato così completamente azzerato. Il più importante strumento di controllo di lungo termine è la legge anti-proteste. E così, secondo il sito indipendente Mada Masr, sono 41.000 le persone arrestate dal giorno del colpo di stato militare, tra cui 926 minori, 4.768 studenti e 166 giornalisti.
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