La cultura non è una merce

I beni ed i servizi culturali come il cinema, i media, la musica, le pubblicazioni, ecc… sono merci come le altre, sottomesse alla liberalizzazione e alle regole dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc)? La domanda non è banale, in un'epoca in cui la cultura tende a diventare parte del mercato planetario, in crescita esponenziale. Un mercato galvanizzato da Internet, contrassegnato dalla concentrazione dei media e la standardizzazione dei prodotti, dominato da alcuni paesi (Stati Uniti in testa) e da multinazionali come Time Wamer, Sony, Bertelsmann. In gioco non c'è nient'altro che il mantenimento della diversità delle espressioni culturali e la sopravvivenza delle tradizioni e delle identità dei popoli.

Nel 1993, durante la fase finale dell'"Uruguay Round", che determinò la nascita dell'Omc, gli Stati Uniti chiesero l'estensione dei principi del libero scambio al settore audiovisivo. L'Unione europea riuscì ad opporvisi in nome di quella che dal francese è stata chiamata l'"eccezione culturale". Una vittoria fragile e temporanea, vista l'offensiva americana (presente anche in altri Stati come il Giappone) ripresa nell'ambito dell'Accordo generale sul commercio dei servizi (Omc) e dei trattati bilaterali di libero scambio.
In questo contesto, la convenzione dell'Unesco sulla diversità culturale, in vigore dal 18 marzo, segna un cambiamento di rotta. Adottata nell'ottobre 2005 da 148 paesi, malgrado la feroce opposizione degli Stati Uniti, la convenzione trasforma ora "l'eccezione" in regola. Si tratta "de facto" del primo strumento politico che iscrive nel diritto internazionale la protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali. Ha, in teoria, un valore equivalente, e non subordinato, agli accordi dell'Omc.
I contributi di questa convenzione sono fondamentali. Innanzitutto, essa sottolinea la specificità dei beni e dei servizi culturali come «portatori d'identità, di valori e di significato». Non possono più, quindi, essere considerati come delle semplici merci. Inoltre, la convenzione attribuisce il diritto degli Stati a portare avanti delle politiche per sostenere il loro settore culturale, compreso il servizio pubblico di radio e televisione, come l'ha esplicitamente richiesto il governo svizzero nei negoziati. Le sovvenzioni per la produzione culturale o le quote d'importazione di film non potranno dunque in principio essere considerati come distorsioni della concorrenza punibili dall'Omc.
Infine, la convenzione richiama un rafforzamento della cooperazione internazionale per aiutare i paesi poveri a sviluppare le proprie industrie culturali, in particolare attraverso un fondo internazionale ed un trattamento preferenziale concesso ai creatori del Sud.
Occorre ora vegliare, affinché questo bel trattato non rimanga solo un pezzo di carta. Se offre un'arma di scelta ai difensori della diversità culturale, la battaglia contro l'uniformazione ed il "tutto è mercato" non è ancora vinta.
L'impatto di questa convenzione dipenderà da due fattori. Da una parte, dal suo peso politico. A metà marzo, solo cinquanta paesi l'avevano ratificata: siamo quindi ancora lontani dalla massa critica. Dall'altra parte, dipenderà dalla sua effettiva applicazione e dall'impegno degli Stati a creare un giusto equilibrio tra interessi culturali e commerciali. Cosa non facile, tenuto conto della mancanza di coerenza delle politiche governative.
A questo proposito, la Svizzera avrebbe potuto avere un ruolo importante, come ha fatto nell'elaborazione della convenzione, integrando ampiamente la società civile ai suoi lavori. La Svizzera è stata l'unica a proporre un contributo obbligatorio degli Stati al futuro fondo di solidarietà in favore dei paesi poveri. Purtroppo, la Svizzera, rallentata dalla pesantezza del sistema federalista, non ha ancora ratificato il testo. Non potrà quindi partecipare al Comitato intergovernativo, incaricato della sua applicazione, che sarà eletto il prossimo giugno all'Unesco. Un'esclusione che la condanna ad un ruolo marginale per quattro anni.
Peccato essendo la Svizzera un modello di diversità culturale ed un bastione del servizio pubblico audiovisivo!

Pubblicato il

11.05.2007 04:00
Michel Egger