«È lì. Tra quei due palazzi. Posso farla scendere qui?». Se prendete il tassì per andare al Centro Culturale Svizzero (Ccs) di Milano non è escluso che vi facciano una domanda del genere. Quasi fosse una presenza estranea alla quale, se non sei svizzero, è meglio non avvicinarsi. Se però varcate la soglia dell’edificio vi renderete subito conto che l’insolita richiesta è dovuta unicamente all’ingarbugliata situazione viaria. Lo stabile è occupato in massima parte da uffici. Le quattro persone che vi lavorano (direttore a tempo pieno, segretaria a tempo parziale, collaboratore specializzato al 100% e addetto alle Pr al 50%) sono in simbiosi a dir poco totale con il telefono e non somigliano certo a «presenze» di cinematografica memoria… Questa mattina si prepara l’esposizione di Flor Garduño che verrà inaugurata il prossimo 30 aprile al Ccs. Dal 29 maggio poi si potranno ammirare altre opere della Garduño alla Galleria Sozzani di corso Como: uno degli spazi più reputati a Milano per la fotografia. Un evento, insomma, come lo è la retrospettiva Alain Tanner che sta animando Milano proprio in questi giorni e che in seguito partirà per una «tournée» italiana, con una capatina persino a Chiasso. La cosiddetta regio insubrica culturale resta molto cara al direttore del centro, anche se a Milano non è più una priorità. «La mostra è comunque un bell’esempio di cultura che non si ferma ai confini» spiega Domenico Lucchini: «l’artista abita in Ticino. È di cultura latino-americana contaminata dalla conoscenza e dall’assimilazione della nostra regione. Per portarla a Milano abbiamo coinvolto il consolato messicano. Ci sarà quindi un pubblico misto». I «confini» si riconfermano dunque per il nostro interlocutore non come linea di demarcazione, ma come permeabilità, incontro, interscambio. Non saranno quindi solo italo-svizzeri, ma nuovi incroci. E nuovi incroci potrebbero nascere non solo sull’asse nord-sud ma anche su quello est-ovest. «Vorrei che il centro rappresentasse la possibilità di far interagire le differenziazioni di cultura che agiscono in Svizzera. In marzo è stata qui la scrittrice basilese Zoe Jenny, astro nascente della letteratura svizzera. Poi avrò dei romandi». Dopo Milano (la mostra al Ccs si chiude il 10 giugno, quella alla galleria Sozzani il 23) le opere della Garduno avranno un «destino» simile ai film di Tanner: andranno in tournée in Italia. «Si tratta di un modulo che utilizziamo spesso. Inoltre sviluppiamo questo genere di manifestazioni su più piani: uscirà una pubblicazione e un video che verrà diffuso anche dalla televisione svizzera» spiega ancora Lucchini, mentre come ogni mattina smista la corrispondenza. Un impegno quasi «riposante» anche se non va sottovalutato: arrivano un’infinità di richieste di collaborazione. Evaderle richiede tempo. I momenti più intensi della giornata si verificano di solito dopo pranzo. Spesso anche la sera, quando hanno luogo quelle manifestazioni con le quali si vuole offrire una cultura emancipatrice rispetto agli stereotipi e una presenza combattiva. Ma come intendere queste parole? «Nel senso di una cultura viva – risponde Lucchini – non accondiscendente a mode e modi di vivere ma che crea fermenti. Lo reputo il compito del centro». Lucchini, che quest’anno con il Ccs dirige anche l’Associazione degli istituti di cultura europei di Milano, ne è fermamente convinto: «lavoriamo in trincea. Guai ad addormentarsi. La cultura deve essere sempre in prima linea». Come, per esempio, quella proposta da Alain Tanner, che proprio in questi giorni è stato al Ccs in compagnia di Renato Berta per un dibattito moderato dalla direttrice di Ciak Piera Detass. Affinché la cultura viva bisogna però sapere come interloquire con il pubblico. Su che tipo di pubblico può contare allora la nostra presenza culturale in terra lombarda? «Qui a Milano il pubblico è guardingo. Prima di lasciarsi coinvolgere fa una sua riflessione. C’è meno empatia rispetto a Chiasso». Difficile non immaginare che vi sia un legame con l’immagine non proprio rosea che il paese ha dato di sé durante l’ultimo decennio. I Tir e lo scudo Tremonti sono solo gli episodi più recenti… «Sarebbe però sbagliato, perché promuovere la cultura Svizzera in Italia significa anche proporre manifestazioni critiche rispetto a certi valori del nostro paese» risponde Lucchini. E aggiunge: «Il problema è capire il pubblico. Non è stato facile neanche per il mio predecessore Chasper Pult che pur è riuscito a costruire un ottimo profilo al Ccs. Milano è una città che vive molto di eventi e dell’effimero. E questo è un pubblico occasionale». I limiti che rendono a volte difficoltoso garantire una «presenza combattiva» sono altri. I rapporti con i massmedia, per esempio. «Ci sono serate – osserva Lucchini – alle quali non è presente un solo critico. Una situazione che chiaramente non soddisfa. Ci vuole un riscontro massmediatico per noi e per il creatore. È difficile per tutti qui a Milano. Per convincere qualcuno a coprire l’avvenimento bisogna chiamare molte volte. Dovremo lavorare ancora parecchio per noi è importantissimo lasciare una traccia». Difficile anche «emanciparsi dagli stereotipi» quando gli spazi sono esigui: una saletta multiuso, i locali in cui lavorano i collaboratori del Ccs e, in estate, la corte interna. Un certo tipo di eventi – soprattutto le mostre d’arte – sono dunque impensabili: «Cerchiamo evidentemente spazi disposti ad accogliere in modo sistematico le nostre iniziative – sottolinea ancora Lucchini – La costanza crea un humus». È importante evidenziare che il centro e questi spazi che si stanno cercando non vanno intesi solo come emanazione a senso unico della cultura elvetica: «vorrei connettere le iniziative alla parte italiana coinvolgendo i creativi locali». Si punta anche sulla qualità più che sulla quantità. «Le 100 iniziative all’anno che si proponevano finora mi sembrano molte. Diraderò gli appuntamenti concentrandomi su manifestazioni che durino più di un pomeriggio» conferma il direttore del centro. Nuovi spazi significa anche tentare di connettere le attività del centro al territorio italiano. I primi risultati non mancano: «Ad Aosta, realtà periferica e di frontiera, sono sorti progetti potenzialmente interessanti: ci sono gli elementi per immaginare un evento dedicato alle trasmigrazioni ticinesi nella regione. Potrebbe intervenire il centro». Intanto la giornata al Ccs va avanti tra uno squillo del telefono e l’altro. Tra breve arriverà il concertista che si esibirà in serata. Se la sala sarà piena potrà contare su un centinaio di persone. Questa sera non ci sarà bisogno del tecnico part-time che collabora col Ccs. Degli aspetti tecnici si occuperà invece il collaboratore specializzato di Lucchini. «È il jolly della situazione» sorride Lucchini. «Come tutti, del resto, le bozze del libro di Tanner le ho corrette io. La sera faccio spesso il presentatore e il moderatore». La donna di Flor Garduño Lo sguardo della fotografa messicana Flor Garduño sulla donna e, quindi, sul suo mondo interiore. «Donna» è il titolo della mostra che verrà inaugurata martedì 30 aprile al Centro culturale svizzero di Milano e che potrà essere visitata fino al 10 giugno. Con una quarantina di foto in bianco e nero, Flor Garduño presenta «la sua nuova esperienza di nudi di donna», quasi un percorso introspettivo dove l’essere donna viene indagato e poi restituito con immagini di rara bellezza. Chi conosce l’opera della fotografa messicana, che vive a Stabio con il marito Adriano Heitmann (anche lui fotografo) e i due figli, ritrova in questa mostra, essenzialità, sobrietà, forza, intensità. Allieva e assistente di Manuel Alvarez Bravo, Flor Garduño, «ha formato la visione originale e inimitabile di una lingua fotografica che unisce il tempo contemplativo della messa in posa sul cavalletto, al tempo istantaneo capace di conservare nella memoria e di narrare per la storia l’azione dell’uomo alla ricerca del destino personale». L’attenzione di Flor Garduño si è ora spostata sul corpo della donna, «oggetto che nel corso del tempo – leggiamo nella presentazione della mostra – associato ad un segnale di possesso e di passaggio, si è offerto come ricettacolo del sacro di diverse culture». I lavori esposti al Centro culturale svizzero cercano di svelare enigmi e risposte, segni che si intrecciano al di là di ogni prospettiva storica. La fotografa Flor Garduño «attribuisce un risalto particolare ai simboli del maschile che accompagnano, in una sorta di dualità, la maggior parte delle immagini». Quello presentato a Milano è un mondo-donna, dove sbocciano i fiori, segni di seduzione grazie ai quali il mondo sopravvive. Una magia che si reinventa senza sosta e che ci mette intimamente in contatto con entità primordiali e misteriose.

Pubblicato il 

19.04.02

Edizione cartacea

Nessun articolo correlato