Nel suo "Il produttore consumato", la sociologa e ricercatrice Francesca Coin, evidenzia come la produzione capitalista abbia due bisogni effettivi: quello di lavorare sempre di più e quello di consumare sempre di più. Da una parte c'è bisogno dell'iperlavoro, il quale è in continua crescita, utile ad abbassare i costi di produzione. Dall'altra c'è il bisogno di consumare quello che si produce. Siamo paradossalmente in un'epoca della storia in cui la possibilità di consumare è la più alta in assoluto. Tale consumo non aiuta l'emancipazione dei lavoratori ma piuttosto la produttività economica e l'obbedienza politica. Il consumo di sostanze stupefacenti, inserendosi in questa dinamica economica, ha precisamente un triplice scopo: stimolare la produzione, manipolare l'essere umano per renderlo sempre più simile alla macchina e farlo diventare il più possibile docile. Nel suo saggio, l'autrice tratta il tema del crescente ricorso a droghe che fanno i lavoratori, motivato dalle difficoltà e dalle sofferenze che il mondo del lavoro infligge. Un tema di stretta attualità, considerate le dimensioni assunte dal consumo di cocaina anche nel nostro paese. Rispondendo ad una interpellanza, il governo cantonale ha indicato nel solo comprensorio del Luganese dove risiedono 100mila persone, la presenza di 7mila consumatori di cocaina. Un numero elevato, che colloca la regione in buona posizione come consumatori di cocaina in Europa. Non è quindi un caso che Villa Argentina, un centro terapeutico del Luganese specializzato nel reinserimento professionale dei pazienti tossicodipendenti, abbia annunciato l'intenzione di destinare a breve termine parte delle sue strutture a persone dipendenti da cocaina che mantengono una attività lavorativa. Del fenomeno emergente, area ne ha parlato con la ricercatrice Francesca Coin e con il direttore di Villa Argentina, Mirko Steiner.

Francesca Coin, nel suo saggio lei stabilisce un nesso tra consumo di droghe e modo di lavorare. Nella sua ipotesi, nella società odierna, ad un aumento della produttività in termini di ore e di ritmi di lavoro corrisponde un aumento del malessere dei lavoratori. E per attenuare questo malessere, molti ricorrono alle sostanze stupefacenti.
Esatto. Si tratta di un malessere difficilmente definibile, se non riassumibile genericamente in termini di stress o di depressione, ma che va di pari passo con l'evoluzione del mondo del lavoro. Un malessere che non si scontra con la produttività, salvo quando diventa visibile solo nel momento in cui arriva a certi picchi, a certi sintomi. 
Nella storia dunque ci sono stati certi tipi di stupefacenti funzionali ad un certo modo di lavorare?
Sì, fin dall'inizio. Con la nascita dell'industria, verso la fine del 1700, nella dieta delle persone è stato introdotto il caffè e i cibi ricchi di zucchero, mentre prima erano assenti. Può apparire come una cosa normale, se non fosse che queste modifiche di abitudini di consumo si ritrovano nel tempo. Ad inizio del novecento ad esempio, mentre Ford introduceva il suo sistema di produzione per incentivare il consumo di massa, la Bayern pubblicizzava l'eroina insieme all'aspirina come un farmaco capace di curare molti mali. Il risultato fu la creazione di un milione di dipendenti da eroina negli Stati uniti in assoluta legalità. In seguito l'eroina è stata proibita, ma ormai un mercato di dipendenza si era già creato.
Seguendo il ragionamento, non è casuale che oggi sia la cocaina lo stupefacente dominante. Così come non è casuale il passaggio della cocaina da droga delle classi agiate a quella dei lavoratori o da droga del fine settimana a droga di tutti i giorni.
Non è casuale, né dal punto di vista della produzione ne quello del consumo. La produzione di massa per il consumo di massa della cocaina con la relativa diminuzione del prezzo, ha fatto sì che questa droga sia diventata da sostanza utilizzata per fini edonistici nei fine settimana, ad una necessità quotidiana. Non è un caso che la cocaina sia diventata un'esigenza per molti lavoratori precari o quelli con mansioni dai gesti ripetitivi, tipo catena di montaggio.
Ha incontrato delle difficoltà nello svolgere la sua inchiesta?
L'accesso alle fabbriche. In alcuni casi, le direzioni davano il consenso all'entrata in fabbrica subordinato però all'utilizzo dei dati finalizzato ad un controllo degli operai. E quindi non si poteva fare nulla. Anche da parte sindacale ho incontrato delle reticenze a parlarne, quasi non si volesse evidenziare il fenomeno. Alla fine ho fatto un'inchiesta con operai in forma anonima fuori dalla fabbrica. Ciò che emergeva era che la vita regolare senza "un qualcosa di più" diventava solo ed esclusivamente fatica.
Lei quindi intravvede una sorta di complicità generale, una sorta di lasciar fare sul consumo di cocaina, da parte di tutti gli attori coinvolti?
Credo non sia azzardato affermarlo. Bisognerebbe analizzare caso per caso come ciò avviene, ossia in modo consapevole o inconsapevole. Esistono due motivazioni dell'avvicinamento al consumo di stupefacenti. La prima sono i limiti fisici che il capitalismo contemporaneo richiede, e quindi spinge, a superare. Mai nella storia si è lavorato così tanto, sia a livello di ore quotidiane, che di giorni nell'arco di un anno e di intensità. Ma oltre all'aspetto fisico, c'è un'esigenza emotiva. Forse in maniera romantica, continuo a credere che lo scopo dell'esistenza non sia la ripetizione ossessiva della stessa mansione per svariate ore quotidiane. Per questo, per sfuggire a questa gabbia in cui tutti siamo stati cacciati in forme diverse negli ultimi anni, si ricorra a sostanze stupefacenti.
Qual è la via di uscita al tunnel imboccato?
È centrale intervenire sul degrado delle condizioni di lavoro per evitare il malessere. Diventa quindi fondamentale il ruolo dei sindacati.
Come vede il futuro?
Sono preoccupata per il buco finanziario creato dagli speculatori. Questo comporterà, oltre ad una perdita di posti di lavoro, una prolungatissima erogazione di iper-lavoro sottopagato per creare nuova liquidità. Se questi meccanismi si avvereranno, il sindacato correrà il rischio di essere subordinato alla logica padronale perché debole. Dall'altra parte però, l'effetto darà ancora più forza alla necessità di un cambiamento sempre più radicale. 
Due scenari per i lavoratori opposti tra loro. Uno pessimista e uno negativo.
Sì. Ma per rimanere sul positivo è interessante osservare che ci sono, in forme più o meno organizzate, reazioni che provengono dal basso e vanno in mille direzioni. Sono segnali di tentativi di costruzioni di una società diversa già in corso. E questo è confortante.

Coca: una droga "integrata"

Villa Argentina è un centro terapeutico del Luganese specializzato nel reinserimento professionale dei pazienti tossicodipendenti. Nel maggio di quest'anno ha annunciato la creazione a breve termine di una struttura residenziale in grado di ospitare persone dedite al consumo principalmente di cocaina ma che hanno mantenuto il loro lavoro.  Per capire l'entità di questa nuova casistica di tossicodipendenti, area ha intervistato il direttore di Villa Argentina, lo psicologo e psicoterapeuta Mirko Steiner, nonché presidente del Gruppo esperti in materia di tossicodipendenze per il Consiglio di Stato del Cantone Ticino.

Direttore Steiner, sono in aumento i consumatori di cocaina inseriti professionalmente?
Il fenomeno dell'aumento del consumo di cocaina è ormai in atto da decenni sul piano mondiale. Da stupefacente del ceto sociale agiato, da droga esclusiva, la cocaina è diventata una sostanza alla portata di tutti. Nell'immaginario sociale si crede sia una droga utilizzata soprattutto negli ambienti della finanza o bancari, mentre in realtà è ormai diffusa in tutti gli ambiti professionali.
Perché la cocaina ha così tanto successo?
Nell'ambito lavorativo, è una droga che velocizza il pensiero, che toglie la fatica del lavoro fisico o interviene nel caso di lavoro ripetitivo in cui è necessaria la velocità.
Spesso nell'opinione pubblica, all'immagine di tossicodipendente si associa quella di emarginato.
Generalmente il consumatore di cocaina invece è integrato nella vita sociale, dove continua a lavorare. È solo quando arriva a dei punti tali che la sua dipendenza diventa troppo evidente, e quindi problematica, che perde il lavoro. A quel punto le cose si complicano ulteriormente.
Il vostro istituto ha deciso di realizzare una struttura per cocainomani che lavorano. Come si svilupperà?
Nella gran maggioranza dei casi il sostegno terapeutico alle persone che consumano cocaina avviene nelle strutture ambulatoriali. Ma ci sono casi in cui le persone richiedono un aiuto in strutture residenziali, come quella prevista dal nostro istituto. Anche per noi si tratterà di una forma diversa di intervento terapeutico. Se con il tossicodipendente da eroina si faceva un percorso di reinserimento professionale, nel caso del cocainomane già attivo professionalmente l'approccio sarà differente. Nel suo caso, vista la paura di perdere il posto di lavoro, non possiamo far intervenire nel processo di recupero il datore di lavoro.
Sono molti i casi di questo genere?
Il Gruppo esperti in materia di droga del governo (di cui Steiner è presidente, ndr) vuole ottenere dei dati oggettivi per analizzare il fenomeno. È però difficile quantificare il numero di consumatori di cocaina e il loro grado di dipendenza. Nel caso dell'eroina è più facile avere stime affidabili partendo, ad esempio, dai dati forniti dai studi medici. Mentre rilevare la casistica dei consumatori di cocaina è molto più complicato perché è un fenomeno più nascosto. Ad esempio, è difficile calcolare il tasso di mortalità. Se nel caso di decesso per overdose da eroina la causa è evidente, per capire se un arresto cardiaco sia stato provocato dalla cocaina, bisogna fare delle analisi alle quali la famiglia, comprensibilmente, spesso si oppone.     
Se avete deciso di aprire un servizio specifico a questa dipendenza, significa che dal vostro osservatorio, ne avete rilevato l'importanza?
Come detto, il consumo di cocaina è diventato sempre più consistente nella società. Per compensare lo stato di vuoto che subentra quando svanisce l'effetto euforico della cocaina, spesso la persona assume altre sostanze, diventando poi dipendente anche di quest'ultime. Sovente dunque, ad una dipendenza da cocaina si associa la dipendenza ai psicofarmaci o all'alcool. In quel caso si parla di politossicomania.
Quali sono le ragioni dell'aumento di consumo di cocaina?
È dovuto a molteplici fattori. Uno dei motivi è il prezzo, sceso notevolmente negli ultimi 20 anni. Ma vi sono anche aspetti di trasformazione di società, dove dei valori sociali sono stati sostituiti da un individualismo narcisista, dove è diventato più importante l'apparire che l'essere. A questo si aggiunge il fatto che la cocaina è una droga insidiosa perché è difficile percepirne la sua pericolosità.
Per contrastare la cocaina, è meglio agire sulla domanda o sull'offerta? 
È necessario un approccio multifattoriale al problema. Per questo è importante che nella votazione del 30 novembre venga confermata la politica della droga attualmente in vigore in Svizzera, basata sui quattro pilastri (prevenzione, terapia, riduzione del danno e repressione, ndr).

Pubblicato il 

14.11.08

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