All’inizio degli anni Settanta, nella frazione di Maloggia, nel comune di Bregaglia, sul tetto di una casa contadina, costruita sul finire del Seicento, veniva issata una bandiera rossa. Il vessillo fu notato da un’escursionista d’eccezione, ovvero da Rudolf Friedrich, parlamentare liberale e futuro consigliere federale, che informò indignato la stampa nazionale. Gli articoli non mancarono e il fatto suscitò molto nervosismo tra la popolazione locale. Durante un’assemblea comunale si levarono anche voci di protesta e non mancarono richieste d’intervento della polizia. La casa in questione si chiama Salecina ed è ancora oggi un luogo di vacanza, nonché centro culturale e politico bilingue (tedesco e italiano). Salecina, che prende il nome da una cima situata nelle vicinanze della struttura, nacque da un’idea di Theo Pinkus, libraio comunista, editore e giornalista, e della moglie Amalie De Sassi, libraia e femminista, che volevano fondare un luogo di vacanza e di formazione per le persone a basso reddito. Dopo aver ottenuto una donazione, Pinkus acquistò un edificio, con stalla annessa, che nel 1974, dopo alcuni lavori di ristrutturazione, cominciò a diventare un punto di riferimento politico-culturale di livello internazionale: la fotografia di Max Frisch che discute amabilmente con Herbert Marcuse, ai margini di un convegno tenutosi proprio a Salecina, è diventata ormai un simbolo della casa. Salecina, nonostante l’astio delle istituzioni e la diffidenza di parte della popolazione locale, ha resistito fino a oggi, ma è stata tenuta per anni sotto stretta sorveglianza dalla polizia politica, che ha prodotto chili di documenti relativi alle attività politiche del centro. Oggi l’atmosfera a Salecina non è più quella degli anni Settanta, ma la casa ha conservato l’afflato progressista e il carattere sociale delle origini. La struttura è rigorosamente no profit e gestita da un consiglio formato dalle lavoratrici e dai lavoratori della struttura e da persone di orientamento progressista. I turisti possono inoltre approfittare di prezzi molto contenuti, in cambio di un contributo in termini di lavoro: la sera, dopocena, tutti gli ospiti, riuniti nella grande sala da pranzo, decidono, su base volontaria, i turni per cucinare, apparecchiare, pulire … Per i meno abbienti, inoltre, ci sono tariffe scontate. Oltre al contenimento dei costi, questo metodo di parziale autogestione – parziale perché un gruppo di collaboratori cura la parte amministrativa – permette agli ospiti di entrare nel funzionamento della casa e, spesso, di stringere amicizie. Il basso impatto ecologico della struttura è garantito dalla scelta di prodotti locali e dalla politica di incentivo dei trasporti pubblici. La pandemia ha messo ovviamente in difficoltà la struttura che ha riaperto soltanto da poco. Andrea Tognina, ex collaboratore di area e membro del Consiglio, ha vissuto da vicino i momenti della crisi: «Le decisioni urgenti sono state prese da alcuni gruppi di lavoro del Consiglio, in stretta collaborazione con il team di gestione. Il Consiglio si è in seguito riunito per la prima volta nella storia della casa in forma virtuale, per discutere gli scenari futuri. Abbiamo dovuto richiedere un credito garantito per far fronte a problemi di liquidità ma, nonostante questo, abbiamo deciso di pagare il 100% del salario ai nostri dipendenti in lavoro ridotto. Difficile fare previsioni per il futuro, ma di certo l’eventuale seconda ondata e il permanere delle restrizioni potrebbero rendere le cose davvero difficili». Silvie Kiefer, impiegata a Salecina, si dice «preoccupata perché la riduzione dei posti disponibili nella struttura, 28 su 56, crea non poche difficoltà. La nostra apprensione è rivolta anche agli ospiti: la loro salute è prioritaria e, inoltre, vogliamo garantire a tutti un soggiorno piacevole, a prescindere dalle regole del piano di protezione. I nostri sforzi in questo momento vanno proprio in questa direzione». |