Home
Rubriche
Dossier
Multimedia
Archivio
Contatti
La buona morte
di
Alberto Bondolfi
Scrivo il pezzo per Area dopo aver partecipato ad un congresso sul tema dell’eutanasia in Polonia. Ancora alcuni anni fa un avvenimento del genere sarebbe stato impossibile in quel Paese. La discussione era chiaramente ancora dominata dalle posizioni ufficiali cattoliche su questo tema, ma essa era davvero libera ed argomentata e soprattutto su un piede di parità tra studiosi polacchi ed altri provenienti da altri Paesi europei. Proprio in Polonia, e grazie ad Internet, ho potuto prendere visione diretta della legge olandese sull’eutanasia (si potrà esaminare la versione in varie lingue presso www.minbuza.nl). Senza prevenzioni ho potuto farmene un’idea e vorrei ora proporre anche a chi legge Area un’interpretazione che sia di vantaggio anche per la nostra discussione in Svizzera. Fa impressione innanzitutto che l’eccezione prevista al divieto di uccidere sia possibile solo per i medici che abbiano seguito una procedura dettagliata. Perchè proprio solo i medici? Si può essere più o meno d’accordo sul fatto di voler statuire un’eccezione al principio del "non uccidere". Personalmente nella commissione del Dipartimento federale di giustizia ho votato a favore di una "clausola di compassione" che dia la possibilità, a condizioni ben precise, al giudice di archiviare una pratica in caso di uccisione per soli motivi di compassione ed in situazione di necessità. Il testo svizzero dice però chiaramente che tale eccezione vale per "chiunque". Non si vede infatti per quale motivo si debba accordare questo privilegio solo ai medici, quasi che essi abbiano il monopolio della compassione verso i morenti o solo si trovino in stato di tragica necessità tra esigenze morali tra loro contradditorie. In questo senso ho l’impressione che abbiamo operato in un senso migliore degli olandesi. In secondo luogo la legge di questo Paese prevede una procedura molto precisa e dettagliata nonostante il fatto che si affermi che tale eccezione abbia il senso di "scusare" e non di "giustificare" tale azione. La procedura nasconde così un’ideologia non affermata apertamente che tende a vedere nell’eutanasia un diritto che si può esigere e non un’azione estrema che al massimo può essere scusata ma non rivendicata come un "diritto". Infine il testo della legge olandese fa poco spazio all’autonomia della volontà del morente e mette l’accento in maniera quasi esclusiva sull’operato "corretto" da parte del medico curante. Non è un caso dunque che la protesta sia venuta da due fronti opposti: da una parte da coloro che interpretano il comandamento del "non uccidere" senza alcuna eccezione possibile e dall’altra da coloro che ritengono che l’eutanasia sia innanziutto un’espressione della volontà del morente e non una procedura medica. In Svizzera tutto è ancora aperto: vedremo come sarà la reazione all’iniziativa parlamentare presentata da Franco Cavalli. In ogni caso possiamo già aprofittare dell’esperienza olandese per legiferare in maniera più oculata e coerente.
Pubblicato il
27.04.01
Edizione cartacea
Anno IV numero 14
Rubrica
Etica
Articoli correlati
Nessun articolo correlato