Metà della capitalizzazione della borsa svizzera è detenuta dagli investitori istituzionali. Detto in altro modo: circa 500 miliardi di franchi, per lo più fondi pensionistici che appartengono ai lavoratori e alle lavoratrici confederate, sono messi a frutto “forzatamente” sulla piazza finanziaria elvetica e internazionale. Somma da capogiro che fugge ad ogni possibile immaginazione percettiva e tattile. Denaro che non può restare immobile sotto il materasso. Di questi 500 miliardi di franchi una “goccia”, 825 milioni, li gestisce Ethos la Fondazione svizzera d’investimento per uno sviluppo sostenibile. Nata dall’iniziativa di due casse pensioni ginevrine in tempi non sospetti, nel 1997 prima dell’esplosione della bolla speculativa della new economy e dei recenti scandali finanziari, riunisce oggi 84 casse pensioni di tutta la Svizzera. «Siamo in qualche modo prigionieri del mercato finanziario, i soldi che abbiamo in avere dobbiamo investirli, non abbiamo scelta. Abbiamo però il potere di decidere come collocarli e su quali imprese. Paradossalmente, questa costrizione ci ha aperto gli occhi sul ruolo che deve avere l’investimento istituzionale», ci ha detto il direttore di Ethos Dominique Biedermann . Ethos ha stilato anche quest’anno una propria classifica che mette a confronto le 100 maggiori imprese elvetiche. La nota è data secondo il principio della “buona gestione d’impresa”. Sì, perché su suolo elvetico ci sono ancora troppe imprese che hanno meccanismi di controllo interno inadeguati e struttura del capitale diseguale. Dominique Biedermann la fondazione Ethos ha da poco concluso uno studio comparativo sulla “buona gestione d’impresa”. Avete dato la nota alle 100 maggiori società svizzere quotate in borsa. Anzi due note: la prima valuta le 100 imprese secondo le raccomandazioni emanate dalla borsa svizzera nel 2002, la seconda invece (vedi foto a lato) è basata su criteri costruiti da voi. Come mai questa differenziazione? Le regole della borsa elvetica non sono sufficienti? Il nostro primo obiettivo era quello di vedere se le imprese sono trasparenti secondo la normativa della borsa svizzera. Abbiamo concluso che in maggioranza lo sono, ma questo non è sufficiente. La seconda valutazione invece è un passo successivo, necessario a nostro parere. Le leggi elvetiche dicono poco su quello che si può definire il rispetto delle regole per una buona gestione d’impresa, buona per l’intera società intendiamoci. La trasparenza non è sufficiente. Economiesuisse (la federazione delle imprese svizzere, ndr) offre qualcosa in più in questo senso ma solo sotto forma di generiche raccomandazioni non obbligatorie. Che cosa manca in queste “raccomandazioni”? Faccio due brevi accenni per farle capire. Ad esempio, nulla viene detto sulla parità di trattamento degli azionisti. Ci sono ancora privilegi ingiustificabili permessi dall’attuale legislazione. Sono troppe le società in cui una singola azione non corrisponde forzatamente a un voto (la famiglia che controlla il gigante farmaceutico Roche detiene il 10 per cento del capitale dell’azienda ma ha un potere decisionale del 50,1 per cento, ndr). Un’altra mancanza da sottolineare è la visione dei compiti e delle esigenze di composizione dei consigli d’amministrazione (Cda). Economiesuisse auspica che nel Cda e nei comitati di revisione ci siano amministratori non-esecutivi, che non significa forzatamente indipendenti. Per non essere esecutivo è sufficiente non avere oggi compiti direzionali all’interno dell’azienda. Ci puoi però aver lavorato fino a ieri, oppure puoi far parte del Cda anche se hai forti interessi personali legati a quella impresa, ad esempio puoi essere l’avvocato di uno dei maggiori azionisti della società. In questi casi non si può certo parlare di indipendenza. Non sono solo sottigliezze linguistiche. Si può ancora affermare che abbiamo un’economia sana e ben gestita? Si potrebbe dire che le cose sono parecchio migliorate se si prende come asticella di valutazione le raccomandazioni della borsa svizzera, in questo senso le imprese sono diventate più trasparenti e la nostra ricerca lo dimostra. Ma la trasparenza non basta. Se parliamo di buona gestione le cose si fanno un po’ meno brillanti, ci sono ancora parecchie imprese che possono, e secondo noi devono, migliorare. Nelle prime posizioni del vostro “Ethos Corporate governance rating 2004” troviamo soprattutto la Svizzera della finanza (Ubs, Credito svizzero, Swiss Re, Zürich Financial Services). Come mai questa buona “performance etica” della finanza? Non è una buona performance etica ma una buona performance della gestione d’impresa che hanno impostato. Per i grandi istituti credo che la spiegazione la si trovi nella loro internazionalità che li obbliga ad essere più attenti alle normative delle borse estere, alcune – come quella statunitense – molto più restrittive di quella elvetica. Comunque non tutte le banche sono in prima posizione, alcune le trova più in basso in classifica. Fra i fanalini di coda c’è Swatch group. Quali sono i suoi deficit? Swatch group ha una situazione del capitale diseguale, dove gli interessi degli azionisti di minoranza non vengono tenuti in considerazione. Inoltre ci sono anche problemi nella composizione del consiglio d’amministrazione, sono pochi gli amministratori indipendenti. Anche la procedura di elezione può essere migliorata. Nell’assemblea generale degli azionisti di quest’anno Swatch ha presentato 7 nuovi amministratori a cui dare un mandato di 3 anni consecutivi. La scelta era del tipo prendere o lasciare tutti e 7 in blocco. Questo non è plausibile, si deve poter valutare ogni singolo, come avviene per ciascun lavoratore. Così con un solo voto, quello dell’azionista di maggioranza, è avvenuta l’elezione 2004 degli amministratori del gruppo Swatch. Questo è contrario ad ogni principio di quello che si chiama buona gestione d’impresa. La buona gestione da voi auspicata è coniugabile con la logica del buon profitto? Una buona gestione permette di limitare il rischio di disfunzionamenti, la cronaca ci dà parecchi spunti in questo senso. Buona gestione vuol dire avere un’impresa sana proiettata nel futuro. Certo in questo modo non si può privilegiare la logica del profitto a breve termine. Un’altra cosa va precisata: buona gestione d’impresa non è sinonimo di protezione da errori di strategia commerciale. Quindi avere Swissair ai primi ranghi dell’Ethos rating non l’avrebbe messa al riparo dal fallimento. Il caso di Swissair farà storia per quel che riguarda la cattiva gestione d’impresa. Noto che c’è una certa relazione fra la cattiva gestione e gli scandali che ci hanno investito negli ultimi anni. Eppure ai primi posti della vostra classifica troviamo società come Adecco o Converium che non vanno esattamente bene. Innanzitutto la nostra valutazione riguarda l’impresa come è gestita oggi e non come è stata gestita nel passato. Dopo l’assemblea degli azionisti di fine giugno all’interno di Adecco le cose sono parecchio cambiate. Per Converium invece il discorso è un altro, ripeto che buona gestione d’impresa non significa forzatamente buona performance economica, non ci sono garanzie che la strategia commerciale scelta sia vincente. E questo nonostante tutti i buoni propositi messi in atto, però almeno questi riteniamo che ci debbano essere. Ethos è una fondazione d’investimento che gestisce gli averi di parecchie casse pensioni per un ammontare di 825 milioni di franchi. Siete bravi quanto gli altri gestori a far fruttare questo enorme patrimonio? Abbiamo diversi portafogli di rischio. Per quanto riguarda i portafogli con titoli internazionali siamo leggermente migliori delle altre casse pensioni, per i titoli svizzeri siamo invece un po’ meno performanti. Ethos gestisce questi fondi secondo il principio dell’investimento di lungo periodo, come è la natura stessa dei fondi pensionistici, e non secondo criteri speculativi del mordi e fuggi. I criteri d’investimento non si possono basare sull’alto dividendo a breve termine. In questo senso le casse pensioni sono prigioniere del mercato, hanno il mandato di investire il denaro che vi confluisce. Paradossalmente questa gabbia – che ci porta tra l’altro ad essere azionisti di imprese concorrenti – ci obbliga ad avere una nuova visione dell’investimento. Come investitori istituzionali siamo obbligati a vedere l’intero tessuto economico, vogliamo che tutte le imprese funzionino a dovere. In questo senso siete dei moderni “cani da guardia” dell’economia. Perché no, siamo azionisti attivi e attenti anche se non “attivisti”. Dipende un po’ da che idea si ha di cane da guardia, per noi non è forzatamente un animale cattivo. I lavoratori e le lavoratrici possono dormire sonni tranquilli contando sulla buona gestione dei loro fondi pensionistici? Non me la sento di dire che sono mal gestiti o che non si possa dormire tranquilli, comunque forse è meglio tenere almeno un occhio aperto, vigile. Una cosa deve cambiare però, le casse pensioni non possono più giocare al “piccolo speculatore”.

Pubblicato il 

10.12.04

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