Cultura

Siamo negli anni Sessanta, un’epoca in cui la classe operaia è forte in tutta Europa e l’Italia, paese dove è particolarmente combattiva, si avvia a diventare una delle potenze industriali su scala mondiale. Renato Prunetti è un giovane metalmeccanico livornese appassionato del proprio lavoro. In breve tempo diventa un saldatore provetto e un operaio trasfertista capace di riparare gli impianti industriali di mezza Italia. Si tratta di un lavoro sfiancante, pericoloso, che costringe l’operaio metalmeccanico a una vita raminga su e giù dai treni sempre in ritardo della Penisola. Renato incontra così i luoghi più tossici del paese come Piombino, Busalla, Taranto. Utilizza anche protezioni in fibra d’amianto per non rischiare di saltare in aria saldando tubi e altre componenti metalliche a ridosso di cisterne piene di combustibile. Per lungo tempo lavora anche a Casale Monferrato, uno dei luoghi simbolo delle tragedie industriali del Novecento. Questa è in sintesi la biografia professionale di Renato raccontata magistralmente dal figlio Alberto in Amianto, il primo volume di una trilogia working class capace di far riflettere sui destini della classe lavoratrice di ieri e di oggi.  

 

Una storia operaia

 

Amianto, opera ripubblicata nel 2014 da Alegre, realtà editoriale italiana dove trovano spazio altri scrittori working class, è fondamentalmente la storia del logorio di un corpo venuto a contatto con materiali mortiferi, in primis l’amianto, la storia di un’ingiustizia, quella che hanno subito operai e famiglie ignari del pericolo, e la ricerca di senso in tutto questo da parte di un figlio. Una storia che purtroppo si ripeterà drammaticamente anche in futuro. Ma Amianto non è solo questo.

 

Prunetti è scrittore di razza (razza working class!) ed è capace di toccare più registri suscitando sensazioni di segno opposto nel lettore: nelle sue pagine c’è tanta ironia, satira, rabbia, sensibilità storica e tanto amore filiale. Sono questi gli ingredienti che rendono Renato un personaggio a tutto tondo e non una semplice vittima, un padre a volte spigoloso ma pieno d’inventiva, un artista del metallo capace di qualsiasi cosa con quattro attrezzi, una saldatrice e un po’ di acciaio e, non da ultimo, un militante sindacale consapevole dei suoi diritti e orgoglioso della sua appartenenza sociale.  

 

Il nuovo eroe

 

Alberto Prunetti cresce nella provincia livornese e diventa figlio della strada, delle risse a ridosso dell’Aurelia e delle domeniche del calcio di periferia. La sua estrazione sociale non è un problema perché tutti attorno a lui hanno il babbo operaio. Il problema è degli altri, ovvero dei figli dei “quattrinai”, che crescono disadattati e lontani dalla vita. In Amianto, l’infanzia dello scrittore è evocata, non tanto per suscitare nostalgia nel lettore, ma per far emergere una cultura materiale operaia andata perduta.

 

In 108 metri, secondo romanzo della trilogia, la vita dell’autore è invece al centro. In particolare, è la sua esperienza di lavoratore migrante in Inghilterra a occupare buona parte del libro. Prunetti, che si è laureato in letteratura e ha mosso i primi passi nell’industria culturale italiana, non è tanto un cervello in fuga, ma un nuovo eroe working class che cerca di allontanarsi da povertà, provincialismo e precariato. In Inghilterra si ritrova in un tritacarne, piomba in una realtà di sfruttamento e alienazione. La penna di Prunetti trasforma tutto questo in avventure surreali, a volte esilaranti, a contatto con altre eroine e altri eroi straordinari del mondo del lavoro dell’epoca tardo-capitalista. Se c’è un personaggio che rappresenta al meglio la nuova ondata migratoria italiana questo è proprio il Prunetti di 108 metri.   

 

Riscrivere la storia

 

Nell’ultimo capitolo della trilogia, Nel girone dei bestemmiatori, Prunetti completa la sua trilogia. In questo libro, un lascito simbolico rivolto alla figlia Elettra, l’autore torna a raccontarci del padre e lo fa attraverso Dante. Renato lo troviamo tra i gironi infernali, mentre fa quello che ha fatto in vita: riparare cose e forse anche qualche torto. In questa opera, Prunetti, oltre a continuare la sua ricerca sul linguaggio di fabbrica, sul dialetto livornese e sul gergo operaio, porta a termine il suo progetto letterario, politico ed etico: raccontare in prima persona e molto da vicino vite operaie perché, come ha affermato lui stesso in un’intervista a Wu Ming, la classe lavoratrice «non deve farsi raccontare dagli altri».

Pubblicato il 

10.09.20
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