Politica

La Svizzera solidale esiste ancora

Intervista ad Agnese Zucca, coordinatrice in Ticino dell'associazione che ha lanciato l'iniziativa per rendere più facile la naturalizzazione: «Sfida contro la xenofobia diffusa».

L’Udc ha stravinto le ultime elezioni facendo campagna contro i migranti. Quest’ultimi sarebbero, secondo la narrazione del partito di estrema destra, colpevoli di tutto: del degrado ambientale, dei problemi del sistema scolastico, del deterioramento delle condizioni di vita della popolazione e persino dell’aumento della criminalità.

 

Questa tornata elettorale ci ha portato indietro di qualche anno, ovvero quando la demagogia populista sembrava ottenere larghi consensi in tutti gli strati della popolazione.

 

Proprio in questi momenti è necessario però non lasciarsi andare allo sconforto. Occorre non dimenticare infatti che esiste una Svizzera aperta, solidale e moderna che, almeno a partire dal 2014, anno dell’iniziativa Udc “contro l’immigrazione di massa”, ha preso coraggio e propone soluzioni per risolvere i problemi reali del Paese.

 

Uno di questi si chiama deficit di democrazia: il fatto che oltre un quarto della popolazione non possa votare perché privo di passaporto. Per questo motivo è nata, qualche anno fa, l’associazione Aktion Vierviertel (azione quattro quarti), che ha poi lanciato negli scorsi mesi l’Iniziativa per la democrazia (www.democrazia-iniziativa.ch/), la quale intende rendere più facile la naturalizzazione. Al momento decine di volontarie e volontari, raccolti in comitati locali sparsi in tutto il Paese, stanno raccogliendo le firme e organizzando iniziative di sensibilizzazione.

 

La Svizzera italiana non è rimasta a guardare: il 28 giugno è stato fondato a Bellinzona il comitato locale coordinato, tra gli altri, dalla ticinese Agnese Zucca (29), dottoranda di ricerca in relazioni internazionali all’Università di Ginevra, che si occupa in particolare del comportamento elettorale della popolazione migrante.

 

Agnese Zucca, perché ha deciso di impegnarsi in prima persona per un’iniziativa del genere?

Lo scorso anno ho assistito alla conferenza del sindacato Unia “Senza migranti, non c’è vera democrazia” e lì sono venuta a conoscenza dell’associazione Aktionsvierviertel grazie a Hilmi Gashi, responsabile migrazione per Unia, che in seguito mi ha proposto di entrare nel comitato dell’iniziativa e in un secondo momento in quello dell’associazione. Ho accettato questo compito insieme a quello di occuparmi del comitato locale in Ticino, che ho fondato da poco alla casa del Popolo di Bellinzona insieme a Giulia Petralli, Mario Amato e Rosemarie Weibel.

 

Può già fare un primo bilancio della vostra attività?

Mi ha stupito vedere così tanta gente e così tanto interesse durante l’evento inaugurale a Bellinzona. Ora si stanno avvicinando molte persone, alcune delle quali non legate a organizzazioni politiche, e abbiamo in programma una serie di iniziative sul territorio per allargare il ventaglio dei sostenitori dell’iniziativa e far conoscere i suoi contenuti alla popolazione. Un esempio su tutti: il prossimo 30 novembre, al cinema Iride di Lugano, presenteremo alcuni estratti del film sulla classe lavoratrice migrante in Svizzera a cui sta lavorando il regista zurighese Samir, che sarà presente alla serata. Il contesto ticinese non è certamente facile, ma devo dire che per ora ho avuto sorprese piuttosto positive. Finora abbiamo raccolto più di 500 firme.

 

Cosa chiede esattamente l’iniziativa?

L’iniziativa prevede che sia la Confederazione a occuparsi del processo di naturalizzazione e che la cittadinanza sia concessa, su domanda, dopo cinque anni di soggiorno legale in Svizzera a tutte le persone non condannate a una pena definitiva di lunga durata, non pericolose per la sicurezza interna ed esterna del Paese e in possesso delle conoscenze di base di una lingua nazionale. La Svizzera è cambiata davvero molto negli ultimi decenni e credo che il nostro sistema democratico debba adeguarsi, riflettere questi cambiamenti. Sui temi dell’integrazione e dell’inclusione abbiamo avuto finora un atteggiamento difensivo. Credo sia tempo di contrattaccare, non soltanto per motivi solidali, ma anche per modernizzare il Paese.

 

In gioco c’è quindi anche la legittimità della democrazia …

Esatto. In questo paese oltre due milioni di persone non possono votare. Con le attuali regole per la naturalizzazione, questa situazione rischia di peggiorare. Anche la composizione del Parlamento e dei governi locali non rispecchia davvero il Paese. La rappresentanza è ancora troppo omogenea. Le persone senza passaporto sono anche costrette a subire le decisioni altrui. Un esempio su tutti: il voto per l’innalzamento dell’età pensionabile per le donne. Forse con una platea di votanti più ampia sarebbe andata diversamente.

 

Eppure, molti sostengono che il voto migrante potrebbe portare il Paese su posizioni ancora più conservatrici. Cosa ne pensi?

Le forze conservatrici hanno paura invece del contrario. Penso che il discorso sul diritto di voto debba essere slegato dal possibile comportamento alle urne. Non possiamo escludere persone dal voto soltanto per paura delle loro idee. Le varie diaspore nel nostro Paese che hanno ottenuto la naturalizzazione non sono dei blocchi omogenei.

 

Il tema del voto delle seconde generazioni, con liste dedicate, ha tenuto banco prima di queste elezioni. Come interpreti questa dinamica?

Durante questa campagna abbiamo visto non solo liste dedicate, ma anche appelli a diaspore specifiche, e diversi candidati di origine migrante. È sicuramente una dinamica molto interessante, anche perché non sono stati soltanto i partiti di sinistra a cercare di mobilitare il voto delle seconde generazioni o più generalmente delle varie diaspore. Ciò dimostra che la politica è cosciente del potenziale di queste comunità, visto il loro peso demografico in Svizzera. È comunque difficile dire se queste strategie abbiano funzionato o meno. Inoltre, non è detto che tutto ciò si traduca automaticamente in istituzioni più rappresentative. Da un lato, andrebbero analizzate in maniera più approfondita le decisioni degli stessi partiti rispetto all’inclusione di candidati con un’origine migrante, per capire ad esempio dove tendono a essere collocate queste persone sulle liste. Inoltre, è necessario valutare anche come risponde l’elettore a questa inclusione. Uno studio recente di Lea Portmann e Nenad Stojanović dimostra come i candidati di origine migrante siano spesso discriminati nell’ambito delle preferenze individuali.

Pubblicato il

29.10.2023 14:05
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