La Nazionale, un esempio

I rossocrociati hanno elettrizzato il paese: magliette rossobianche e bandierine svizzere negli stadi in Germania e quasi dappertutto in Svizzera. La Svizzera italiana, la Svizzera tedesca, la Svizzera francese, non dimentichiamo i romanci, tutti accomunati nell'euforia generata dai nostri calciatori. Siamo convinti di "aver vinto noi" anche se sono stati loro, gli undici rossocrociati, a sconfiggere l'altra squadra. Giornalisti, studiosi e molti altri cominciano ad analizzare quest'ondata di orgoglio. C'è chi si stupisce di sé stesso; sono in parecchi a non interessarsi di calcio, ma ora si sentono esaltati dalle partite e dall'atmosfera euforica creata dalla visione in compagnia delle partite in locali pubblici o sulle piazze davanti a grandi schermi. Questo fenomeno sorprende, anche se il sogno di andare oltre si è infranto lunedì scorso.
Era una vampata di patriottismo a travolgere la Svizzera? L'antropologo Fabrizio Sabelli in un'intervista, rilasciata a Swissinfo, ha detto che a suo avviso non si tratterebbe né di patriottismo, né di nazionalismo, ma piuttosto di una sorta di sentimento collettivo condiviso in relazione ad una festa o una partita vinta. Ricorda che l'epoca attuale offre poche occasioni di ritrovarsi in gruppo, ma donne e uomini, anche oggi, ne avrebbero bisogno. In un editoriale del Tages-Anzeiger si legge che la nostra vittoriosa squadra rappresenta una Svizzera aperta, multiculturale. In effetti la squadra è composta di persone di provenienza diversissima per lingua, cultura e colore, tuttavia tutti sono cresciuti nel nostro paese, tutti sono cittadini svizzeri. La squadra svizzera è proprio per le origini diverse lo specchio del nostro paese nel quale lavorano e vivono ben oltre un milione di cittadini provenienti da ogni dove. Se accettiamo i calciatori di origini così diverse perché non accettare anche il manovale, la cassiera, il tecnico o l'infermiera di origine straniera? La logica vorrebbe che i tifosi della grande squadra svizzera multiculturale dicessero sì anche ad una Svizzera aperta respingendo il 24 settembre le Leggi sugli stranieri e sull'asilo, leggi che sono sinonimo di chiusura.
L'immagine di una Svizzera aperta viene offuscata in parte da una nuova ricerca sostenuta dal Fondo nazionale svizzero. Mentre il 37 per cento delle persone contattate sono aperte rispetto alle persone immigrate, oltre la metà ha pregiudizi contro gli stranieri. Tuttavia tre quarti sono favorevoli ad una migliore integrazione delle minoranze nel nostro paese. Si presenta così un'altra ragione per dire no: per favorire l'integrazione dobbiamo proprio respingere le due leggi. Esse non vogliono solo tenere lontano dal nostro paese nuovi immigranti provenienti da paesi non membri dell'Unione europea, ma rendono la vita difficile anche a quelli con un regolare permesso di soggiorno: non avranno diritto al domicilio dopo 10 anni e il ricongiungimento famigliare per i figli diventerà più complicato. Inoltre l'asilo politico sarà ancora più difficile da ottenere. Ricordiamoci, allora, un attimo della composizione della nostra squadra di calcio che tanto ci inorgoglisce e diciamo no a quelle leggi ingenerose.

Pubblicato il

30.06.2006 14:00
Beat Allenbach