In questi anni di ristrutturazioni d’imprese, pareva che ne avessimo visto ormai di tutti i colori. Ma c’è sempre una nuova sorpresa in agguato. Questa volta è il gruppo danese Lego, che dopo aver ampiamente approfittato di generose condizioni fiscali nei cantoni di Lucerna e di Zugo, dov’era stato accolto dieci anni fa con mille riguardi, ora sbatte la porta e se ne va. Ciò che conta è il profitto, il profitto, e ancora il profitto. Cosicché, dopo aver “intensamente analizzato le strutture produttive dell’impresa”, senza neanche un grazie, decide di chiudere gli stabilimenti in Svizzera (a Willisau, nel cantone di Lucerna, ed a Steinhausen, nel cantone di Zugo), di trasferire parte della produzione nella Repubblica Ceca e parte a fornitori esterni (cinesi, a quanto pare) e di mettere sul lastrico oltre 300 persone. Per giustificare tale decisione, ha parlato Lars Altemark, uno dei vicepresidenti del gruppo: «Per la decisione di chiudere e trasferire la produzione nell’Europa dell’Est, un ruolo decisivo è svolto ovviamente dall’alto livello svizzero dei costi. E per conseguire i maggiori risparmi possibili, è importante trasferire intere unità produttive, così come noi ora facciamo con la produzione svizzera». Costernato, invece, il ministro cantonale dell’economia, il radicale Max Pfister: «A Willisau ho incontrato gente che, dopo aver subito l’alluvione, ora perde anche il lavoro». E dire che l’insediamento della Lego nell’hinterland lucernese veniva finora indicato dalle autorità cantonali come un modello di promozione dell’economia. Adesso Max Pfister deve ammettere: «Fedeltà all’azienda ed efficienza dei dipendenti sembrano non avere più alcun peso nelle decisioni delle multinazionali». In effetti, ancora di recente il gruppo Lego aveva lodato gli alti tassi di produttività conseguiti dalle sue unità produttive in Svizzera. Ma il richiamo dell’Est, con i suoi bassi costi, è più forte. Già nel 2004, quando la Lego soppresse 137 posti di lavoro a Baar, vicino a Zugo, sembrava che volesse portare l’intera produzione fuori dalla Svizzera. Ma poi pareva che tutto si fosse aggiustato. Adesso la sorpresa: lo stabilimento di Willisau sarà chiuso a metà dell’anno prossimo e 239 lavoratori saranno licenziati, in una regione che non offre molte alternative. A Steinhausen saranno in 68 a perdere il lavoro per la fine di gennaio 2006, a meno che nel frattempo non subentri un acquirente della fabbrica. Nel cantone di Zugo non sparisce soltanto la fabbrica di Steinhausen, ma anche la centrale europea per il marketing e la vendita, che finora è stata a Baar e viene trasferita in Danimarca. Una decisione poco comprensibile, dopo appena un anno dalla costruzione di una nuova sede. A nulla è servito neppure il sacrificio chiesto al Comune di Baar, che dal 1993 ha dovuto rinunciare a riscuotere dalla Lego 300 mila franchi all’anno di tassa di concessione sull’elettricità, in seguito alla discreta pressione della stessa Lego. Dal punto di vista fiscale, inoltre, secondo Urs Bachmann, portavoce della Lego, la ditta danese ha pagato in tutti questi anni nel cantone di Lucerna lo stesso ammontare d’imposta pagato a Zugo, notoriamente il cantone fiscalmente più conveniente della Svizzera. A dire il vero, il gruppo Lego, che è il quarto produttore al mondo di giocattoli, non sopprime posti soltanto in Svizzera. Anche in Germania e in Danimarca ha chiuso due centri di produzione, con l’eliminazione di 213 posti di lavoro. La Lego ha anche rinunciato ai centri di distribuzione affidati ad altre ditte in Germania ed in Francia, concentrando tutta la sua rete commerciale a Praga. Negli ultimi 10 anni il gruppo Lego ha soppresso circa mille posti di lavoro. E quest’anno riuscirà a chiudere i conti in attivo anche, e forse soprattutto, grazie alla vendita dei “Legoland Park” in Danimarca, Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti. Signora Schiavi, il comunicato della Lego che annuncia i licenziamenti in massa è del 31 agosto. Il sindacato quando è stato informato? Noi e i lavoratori siamo stati informati lo stesso giorno, come tutti. La Lego non ha quindi rispettato la regola che i lavoratori vanno informati prima e che devono avere il diritto di essere consultati. Si è parlato anche di un piano sociale. Esiste davvero? È possibile negoziare un tale piano con l’azienda, o con le autorità cantonali? Dicono che il piano sociale ci sia, ma noi non l’abbiamo mai visto. E neppure i lavoratori. C’era un piano sociale due o tre anni fa, perché avevano già ridotto i posti di lavoro e licenziato una parte dei dipendenti, soprattutto nel cantone di Zugo. Probabilmente è quel piano sociale che vorrebbero ripristinare, ma è un piano sociale che non è contrattato per questa chiusura annunciata e che noi non conosciamo. E neanche i lavoratori. Ma c’è la possibilità di aprire un negoziato? È quello che chiediamo. A tal fine abbiamo formulato una petizione, che i lavoratori stanno firmando. Finora la Lego ha sempre tenuto fuori i sindacati e non ha neanche una commissione interna. Quindi, con questa petizione i lavoratori chiedono di essere rappresentati da Unia. Da parte nostra, il sindacato ha già preso contatto con la Lego, mandando una lettera per chiedere, da un lato, che sia accordato un periodo di consultazione di almeno un mese per poter fare delle proposte su come salvaguardare i posti di lavoro, e dall’altro che veniamo accettati come parte contrattuale. Nel comunicato di Unia si parla anche di un’azione legale contro la Lego. C’è una possibilità concreta di riuscita di un’azione legale? Normalmente sì. Però nel caso specifico della Lego dipende un po’, dato che non conosciamo molto della situazione e non abbiamo praticamente niente di scritto da parte della ditta, la quale non ha ancora risposto alla nostra lettera [al momento della chiusura di questo numero di area, ndr]. Si devono prima studiare tutti i documenti, la procedura con cui hanno informato (finora, per esempio, sappiamo che l’hanno fatto con i lavoratori solo oralmente). Sono tutte cose importanti da sapere, per stabilire poi se si può fare causa alla ditta. I licenziamenti che c’erano stati due anni fa dovevano però costituire un campanello d’allarme per i sindacati. O no? Il problema è che allora dissero che dopo quella riduzione gli altri posti di lavoro sarebbero stati salvaguardati. Aggiunsero poi che la ditta ricominciava ad andare abbastanza bene, che non era più nelle cifre rosse, che la produttività era aumentata enormemente. Nessuno poteva immaginare che avrebbero chiuso. Inoltre, la Lego s’era insediata in Svizzera appena dieci anni prima, avevano costruito tutto nuovo ed aveva ricevuto molte sovvenzioni cantonali. A proposito di sovvenzioni, il sindacato condivide questa politica? Sembra evidente che i vantaggi fiscali non sono decisivi per promuovere l’economia. No, certo. In questo caso, appunto, abbiamo anzitutto chiesto, mediante un’interpellanza presentata dal segretario del cartello sindacale di Lucerna, che venga fatto il calcolo di quanti siano i milioni di franchi risparmiati dalla Lego, e che ne venga richiesta la restituzione. Questi soldi, secondo noi, non erano un regalo, ma servivano a tenere qui i posti di lavoro. Altri passi a livello politico? Come sindacato abbiamo scritto al Cantone d’intervenire per mantenere i posti di lavoro e a livello cantonale i nostri colleghi hanno presentato un’interpellanza che dovrebbe ricevere una risposta la settimana prossima.

Pubblicato il 

09.09.05

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