La "Lega" della classe operaia

Subito dopo le elezioni i giornali italiani si sono lanciati in improvvisate indagini sul voto dei lavoratori dipendenti nel Nord del paese, per dedurne che la classe operaia non c'è più. Quella che una volta era la "classe generale" che liberando se stessa avrebbe liberato l'umanità, ha lasciato il posto, si è letto, ad un nuovo blocco sociale che tiene insieme l'operaio della fabbrichetta e il suo padroncino, uniti contro il nemico comune: il cinese, la concorrenza. La solidarietà avrebbe dunque ceduto il posto alla competitività, parola magica. L'unico dato certo e che nel Lombardo-Veneto e in aree diffuse del Piemonte la maggioranza degli operai ha votato a destra, Lega e Forza Italia, mentre a salvare l'Unione sono stati insegnanti e dipendenti pubblici.

Sopra la linea del Po Cipputi tradisce la sinistra: secondo uno studio dell'Ires-Cgil con la Swg, il distacco tra i due schieramenti è tra l'8 e il 9 per cento, a tutto vantaggio delle destre. Anche a sinistra in molti sostengono che siccome "la classe operaia non esiste più", sarebbe inutile chiedersi come ricostruire un rapporto con un movimento operaio finto in cenere nel XX secolo insieme a ogni residua idea di socialismo e comunismo: Unione e sindacato devono cercare altrove alimento, guardare alla nuova composizione sociale e scegliere il centro. Assecondare i processi e seguire la destra sullo stesso terreno, riducendo il peso della solidarietà nell'azione politica e sindacale per sostituirlo con la competitività.
La curiosità ci ha spinti nel profondo Nord, nelle valli del Bresciano – Val Camonica e Val Trompia – e nella Bassa Occidentale Bresciana, tra le operaie tessili camune, i metalmeccanici che fabbricano rivoltelle alla Beretta, o macchine per il ciclo tessile che si sta involando verso la Cina. Abbiamo scoperto molte cose interessanti. Intanto, ci sono due tipi di voti operai di destra: uno è antico, risale ai tempi dell'exploit della Lega che inizia come voto di protesta (in libera uscita dalla Dc, ma anche dal Pci) e in dieci anni s'è trasformato in voto identitario. Il secondo è un portato del processo di berlusconizzazione di parte della stessa sinistra operaia. La seconda scoperta parla della tenuta della Cgil in "terra straniera" per la sinistra, e della contraddizione operaia tra identità sociale (le lotte in fabbrica) e collocazione politica. La terza scoperta riguarda la liquefazione della sinistra nel territorio, al massimo un comitato elettorale 30 giorni prima del voto. Non c'è più chi parla alla testa degli operai, c'è invece chi parla alla loro pancia e trasmette paure e incertezze che si sommano alla crisi sociale.
La solitudine operaia si tocca con mano. Dino Greco, segretario della Camera del lavoro di Brescia, punta il dito accusatore sulla sinistra: «Siamo passati dai partiti leggeri ai partiti evaporati, espiantati dal territorio. Non hanno più rapporti con i lavoratori e i cittadini, non hanno un profilo programmatico. In questo Nord i soggetti sociali più forti sono le tifoserie. I ceti deboli restano senza categorie d'interpretazione della realtà e la concezione del mondo è dettata dai palinsesti tv. Il padroncino sceglie l'evasione e il suo operaio segue la stessa strada. Il Pci non era un partito comunista, ma un presidio democratico che ha prodotto un'acculturazione di massa straordinaria. La sua scomparsa ha lasciato il posto a centralismo e leaderismo». Eppure, la Cgil riesce ancora a intercettare gli strati deboli, orfani della sinistra. «Qui a Brescia – continua Greco – organizziamo lotte importanti ma difensive; facciamo buoni accordi sul salario, mettiamo un argine alla precarizzazione. Qui il padrone sa di dover fare i conti con noi. Dovremmo rafforzare i rapporti con i movimenti, esserne l'enzima; portare il secondo livello di contrattazione nel territorio, riprogettandolo. Le Camere del lavoro dovrebbero diventare il luogo dove si riorganizza la democrazia. In quest'area, dove il lavoro è povero, cresce l'abbandono scolastico. Passa tra i ceti più bassi il meccanismo imitativo, padronale o televisivo, si insegue uno status anche a costo di calpestare il compagno di lavoro». Che fare? «Andrebbe rifondata la Cgil. Io penso che il segretario di una Camera del lavoro dovrebbe occuparsi di tutto, dalla difesa dei diritti all'integrazione dei migranti, un ponte tra fabbrica e territorio. O faremo questo salto, o perderemo la partita».
Nelle piccole fabbriche il dubbio che la dissociazione tra identità sociale (tessera Cgil) e politica (voto a destra) non sia destinata a durare in eterno, «già si percepiscono i primi segni di difficoltà nell'organizzazione degli scioperi che riguardano tematiche generali. In difesa delle condizioni di lavoro i reparti si fermano, per il contratto nazionale come delegati dobbiamo fare un lavoro doppio che in passato. Con la scomparsa della sinistra dal territorio crescono localismo e individualismo», ci dice un operaio della Beretta. Mino Bonomelli, responsabile dei pensionati Cgil in Valcamonica fa un esempio per spiegare come il messaggio berlusconiano stia penetrando «nel nostro insediamento sociale: un operaio troppo giovane per la pensione e troppo anziano per un altro lavoro, uno che vive con un misero assegno di mobilità, ha paura che "i comunisti" glielo mangino con le tasse. E siccome da queste parti quasi tutti hanno la casa di proprietà, seguono il pifferaio che promette l'abolizione dell'Ici». Ma ci è capitato anche di sentire un operaio della Val Trompia, tessera Fiom in tasca, ripetere lo slogan della Lega che oggi va per la maggiore: "Ognuno padrone a casa sua". Ebbene, quell'operaio vive in una casa in affitto.
Le lotte non spostano i voti a sinistra «se la sinistra non c'è, o sta dall'altra parte», è la riflessione di Roberto Perotta, metalmeccanico. "Ai tempi d'oro" in Valtrompia si discuteva in fabbrica di riconversione produttiva dal militare al civile. E la Valsella ha smesso di costruire mine antiuomo. Oggi è meglio parlar d'altro con gli operai. Torna l'importanza della scuola, della cultura, armi per combattere "la canea montante che vede nel marocchino lo spacciatore, nel senegalese il negro, nel rumeno il ladro".
In un recente convegno della Comunità montana della Valtrompia sull'immigrazione, ci racconta Fausto Beltrami della segreteria della Cgil bresciana, è stata presentata un'indagine realizzata nelle scuole superiori: «Il 23 per cento dei ragazzi, rispondendo a una domanda ha dichiarato "Sì, io sono razzista". A una successiva domanda su quali siano le razze inferiori hanno risposto "gli africani, quelli di religione diversa, gli handicappati". Nel rimanente 77 per cento molti si dicono non razzisti ma cadono al primo trabocchetto. E quel che è peggio è che la percentuale di "razzisti" è maggiore negli istituti tecnici che nei licei».
Altro che sostituire la solidarietà con la competitività: «Se la sinistra non tutela più i lavoratori, se in nome dei famosi interessi generali si accanisce con i pensionati, se pensa che il suo bacino elettorale sia un altro, se punta a conquistare il centro, allora tanto vale votare per Berlusconi o per la Lega che spazzano via le regole e teorizzano l'individualismo», sostiene Gabriele Calzaterri, responsabile dell'industria e degli edili in Valcamonica. Va giù duro contro «il neoliberismo moderato» Ballarini, capo dei metalmeccanici camuni: «Nell'ipotesi improbabile in cui il presunto "governo amico" dovesse fare tutto bene, noi della Cgil dovremmo comunque organizzargli uno sciopero contro. Altrimenti, nessuno crederà più alla nostra sbandierata autonomia».Sopra la linea del Po Cipputi tradisce la sinistra: secondo uno studio dell'Ires-Cgil con la Swg, il distacco tra i due schieramenti è tra l'8 e il 9 per cento, a tutto vantaggio delle destre. Anche a sinistra in molti sostengono che siccome "la classe operaia non esiste più", sarebbe inutile chiedersi come ricostruire un rapporto con un movimento operaio finto in cenere nel XX secolo insieme a ogni residua idea di socialismo e comunismo: Unione e sindacato devono cercare altrove alimento, guardare alla nuova composizione sociale e scegliere il centro. Assecondare i processi e seguire la destra sullo stesso terreno, riducendo il peso della solidarietà nell'azione politica e sindacale per sostituirlo con la competitività.
La curiosità ci ha spinti nel profondo Nord, nelle valli del Bresciano – Val Camonica e Val Trompia – e nella Bassa Occidentale Bresciana, tra le operaie tessili camune, i metalmeccanici che fabbricano rivoltelle alla Beretta, o macchine per il ciclo tessile che si sta involando verso la Cina. Abbiamo scoperto molte cose interessanti. Intanto, ci sono due tipi di voti operai di destra: uno è antico, risale ai tempi dell'exploit della Lega che inizia come voto di protesta (in libera uscita dalla Dc, ma anche dal Pci) e in dieci anni s'è trasformato in voto identitario. Il secondo è un portato del processo di berlusconizzazione di parte della stessa sinistra operaia. La seconda scoperta parla della tenuta della Cgil in "terra straniera" per la sinistra, e della contraddizione operaia tra identità sociale (le lotte in fabbrica) e collocazione politica. La terza scoperta riguarda la liquefazione della sinistra nel territorio, al massimo un comitato elettorale 30 giorni prima del voto. Non c'è più chi parla alla testa degli operai, c'è invece chi parla alla loro pancia e trasmette paure e incertezze che si sommano alla crisi sociale.
La solitudine operaia si tocca con mano. Dino Greco, segretario della Camera del lavoro di Brescia, punta il dito accusatore sulla sinistra: «Siamo passati dai partiti leggeri ai partiti evaporati, espiantati dal territorio. Non hanno più rapporti con i lavoratori e i cittadini, non hanno un profilo programmatico. In questo Nord i soggetti sociali più forti sono le tifoserie. I ceti deboli restano senza categorie d'interpretazione della realtà e la concezione del mondo è dettata dai palinsesti tv. Il padroncino sceglie l'evasione e il suo operaio segue la stessa strada. Il Pci non era un partito comunista, ma un presidio democratico che ha prodotto un'acculturazione di massa straordinaria. La sua scomparsa ha lasciato il posto a centralismo e leaderismo». Eppure, la Cgil riesce ancora a intercettare gli strati deboli, orfani della sinistra. «Qui a Brescia – continua Greco – organizziamo lotte importanti ma difensive; facciamo buoni accordi sul salario, mettiamo un argine alla precarizzazione. Qui il padrone sa di dover fare i conti con noi. Dovremmo rafforzare i rapporti con i movimenti, esserne l'enzima; portare il secondo livello di contrattazione nel territorio, riprogettandolo. Le Camere del lavoro dovrebbero diventare il luogo dove si riorganizza la democrazia. In quest'area, dove il lavoro è povero, cresce l'abbandono scolastico. Passa tra i ceti più bassi il meccanismo imitativo, padronale o televisivo, si insegue uno status anche a costo di calpestare il compagno di lavoro». Che fare? «Andrebbe rifondata la Cgil. Io penso che il segretario di una Camera del lavoro dovrebbe occuparsi di tutto, dalla difesa dei diritti all'integrazione dei migranti, un ponte tra fabbrica e territorio. O faremo questo salto, o perderemo la partita».
Nelle piccole fabbriche il dubbio che la dissociazione tra identità sociale (tessera Cgil) e politica (voto a destra) non sia destinata a durare in eterno, «già si percepiscono i primi segni di difficoltà nell'organizzazione degli scioperi che riguardano tematiche generali. In difesa delle condizioni di lavoro i reparti si fermano, per il contratto nazionale come delegati dobbiamo fare un lavoro doppio che in passato. Con la scomparsa della sinistra dal territorio crescono localismo e individualismo», ci dice un operaio della Beretta. Mino Bonomelli, responsabile dei pensionati Cgil in Valcamonica fa un esempio per spiegare come il messaggio berlusconiano stia penetrando «nel nostro insediamento sociale: un operaio troppo giovane per la pensione e troppo anziano per un altro lavoro, uno che vive con un misero assegno di mobilità, ha paura che "i comunisti" glielo mangino con le tasse. E siccome da queste parti quasi tutti hanno la casa di proprietà, seguono il pifferaio che promette l'abolizione dell'Ici». Ma ci è capitato anche di sentire un operaio della Val Trompia, tessera Fiom in tasca, ripetere lo slogan della Lega che oggi va per la maggiore: "Ognuno padrone a casa sua". Ebbene, quell'operaio vive in una casa in affitto.
Le lotte non spostano i voti a sinistra «se la sinistra non c'è, o sta dall'altra parte», è la riflessione di Roberto Perotta, metalmeccanico. "Ai tempi d'oro" in Valtrompia si discuteva in fabbrica di riconversione produttiva dal militare al civile. E la Valsella ha smesso di costruire mine antiuomo. Oggi è meglio parlar d'altro con gli operai. Torna l'importanza della scuola, della cultura, armi per combattere "la canea montante che vede nel marocchino lo spacciatore, nel senegalese il negro, nel rumeno il ladro".
In un recente convegno della Comunità montana della Valtrompia sull'immigrazione, ci racconta Fausto Beltrami della segreteria della Cgil bresciana, è stata presentata un'indagine realizzata nelle scuole superiori: «Il 23 per cento dei ragazzi, rispondendo a una domanda ha dichiarato "Sì, io sono razzista". A una successiva domanda su quali siano le razze inferiori hanno risposto "gli africani, quelli di religione diversa, gli handicappati". Nel rimanente 77 per cento molti si dicono non razzisti ma cadono al primo trabocchetto. E quel che è peggio è che la percentuale di "razzisti" è maggiore negli istituti tecnici che nei licei».
Altro che sostituire la solidarietà con la competitività: «Se la sinistra non tutela più i lavoratori, se in nome dei famosi interessi generali si accanisce con i pensionati, se pensa che il suo bacino elettorale sia un altro, se punta a conquistare il centro, allora tanto vale votare per Berlusconi o per la Lega che spazzano via le regole e teorizzano l'individualismo», sostiene Gabriele Calzaterri, responsabile dell'industria e degli edili in Valcamonica. Va giù duro contro «il neoliberismo moderato» Ballarini, capo dei metalmeccanici camuni: «Nell'ipotesi improbabile in cui il presunto "governo amico" dovesse fare tutto bene, noi della Cgil dovremmo comunque organizzargli uno sciopero contro. Altrimenti, nessuno crederà più alla nostra sbandierata autonomia».

L'operaia "pazza per Bossi"

Liliana è un'operaia tessile, sguardo vivo, carattere determinato e combattivo. È allegra e mostra meno anni di quanti ne dovrebbe avere, dato che dal lontano 1972 lavora in una fabbrica di calze in Val Camonica. Appena varcati i cancelli dell'azienda aveva preso la tessera della Cgil, poi era stata eletta delegata e lo è tuttora. Ha trascinato con sé nella militanza sindacale più della metà delle sue 80 colleghe di lavoro. Insomma, Liliana è una compagna. Una compagna tosta, e particolare: vota per la Lega Nord, lotta contro la legge 30 e per il contratto ma ha Umberto Bossi nel cuore. «E che problema c'è? La Cgil non è un partito, è la casa comune, il luogo d'incontro per difendere i propri diritti». Ci incontriamo nella sede della Cgil di Darfo. Un minuto per convincerla a parlare e quando parte non si ferma più.

Raccontaci il tuo lavoro.
Da noi funziona così: arriva il filato, passa nelle macchine tessitrici, poi c'è la cucitura e il prestiro, le calze vengono quindi mandate in tintoria, al confezionamento, alla seconda stiratura e infine al magazzino. Io lavoro al prestiro, ma a seconda delle necessità faccio di tutto. Sono rimasta una vita al secondo livello e per andare avanti, con le altre operaie abbiamo sostenuto una dura vertenza. Da cinque anni sono di terzo livello. La mia busta paga è di 920 euro, qualche mese arrivo a 940.
Perché voti per la Lega?
Sono stata sempre iscritta alla Cgil ma non ho mai votato a sinistra. Sto in Cgil perché è un sindacato vero, qui c'è solidarietà, ci si aiuta. Voto Lega perché condivido quelle idee, la penso come il Bossi. Allora potresti dirmi: brava te, lotti in fabbrica e poi voti per quelli che ti fanno la legge 30 e ti vogliono togliere l'articolo 18. Vedi, se quelli della mia parte fanno una legge sbagliata io sono pronta a lottare finché non fanno marcia indietro. Mi sono data da fare a raccogliere cinque milioni di firme della Cgil contro la precarietà. Per caso, non vi sarete raccontati che quei tre milioni di persone al Circo Massimo con Cofferati avrebbero votato in blocco per la sinistra?
Se sei così convinta delle idee di Bossi perché non hai aderito al sindacato leghista?
Perché ho bisogno di un sindacato serio, forte, cioè della Cgil. Torniamo alle scelte politiche. Prima non sapevo mai per chi votare, una volta ho messo la croce sui socialdemocratici ma per ripiego, senza convinzione. Aspettavo qualcosa che mi desse la scossa, finché è arrivata la Lega con le sue idee che sono le mie.
Ma è la sinistra a battersi in difesa dei lavoratori, in via di principio almeno.
Proprio così, in via di principio. Cioè a parole. Poi è vero che i miei sul lavoro fanno anche peggio, ma è per questo che se c'è da tagliare una legge sbagliata la mia spada si chiama Cgil. Senti un po': chi è che ha fermato il Berlusca sull'articolo 18, la sinistra? Nient'affatto, l'abbiamo fermato noi della Cgil. Te lo devo dire io che a fregarci sulle pensioni e la precarietà ha cominciato la sinistra? Maroni ha fatto peggio, ma chi è arrivato ora farà ancora peggio, l'ha già detto.
Cos'è che ti dà tanto fastidio della sinistra?
Non voterei mai per uno schieramento che accoglie la Rosa nel pugno, non li sopporto quelli che predicano lo stato laico, in un paese in cui il 90 per cento della gente è cattolica. Non ci può essere lo stato laico. Te ne dico un'altra: dovrei votare per chi permette ai musulmani di aprire le moschee nel nostro paese? Poi dicono: facciamoli entrare tutti. Siamo matti? Va bene se uno ha casa e lavoro, ma gli altri non li voglio, portano solo problemi: droga, prostituzione, furti.
E la solidarietà?
Aiutiamoli a casa loro, che qui di problemi ne abbiamo già abbastanza.
Torniamo alla legge 30. Cosa dovrebbe farne il governo Prodi?
Allora non capisci quello che ti dico. Dovrebbe cancellarla.
Se la sinistra cambierà la legge 30, la voterai?
Non ci penso nemmeno, non sono una che cambia bandiera. Non capisco cosa abbiate su contro la Lega. Va bene contro il Berlusca, ma contro la Lega...
Non hai problemi a portare in corteo la bandiera rossa della Cgil?
Ma è della Cgil, mica dei partiti. La porto in corteo, anche fino a Milano. Io mi ci trovo benissimo in Cgil che è una grande famiglia. Guai però a sciogliere il comprensorio, questo della Valcamonica, magari per accentrare tutto a Brescia. Che ne sanno quelli di Brescia dei problemi di noi camuni?
Gli immigrati rappresentano solo un problema, o sono anche una risorsa? La Lombardia non andrebbe avanti senza il loro lavoro...
Benvenuti quelli che lavorano, hanno una casa, si comportano bene. Ma gli altri che stiano a casa loro. Noi li ospitiamo, gli diamo da lavorare e da mangiare, li curiamo, gli apriamo le porte delle scuole e in tutta riconoscenza loro si comportano male.
Tu hai due figli, se uno di loro si fidanzasse con una marocchina per bene, brava ragazza con la testa a posto, cosa diresti?
(Liliana spalanca gli occhi, si abbandona sullo schienale della sedia poi fa una risata, ndr) Ah, questo no. Comunque non c'è pericolo: i miei figli votano Lega, ti pare che gli verrebbe in mente di mettersi con una marocchina?   

Pubblicato il

08.09.2006 03:30
Loris Campetti