La più folcloristica tradizione partitocratica ticinese s’è nuovamente manifestata sabato, in occasione dell’assemblea della Corsi, la Società cooperativa per la radiotelevisione nella Svizzera italiana. Si trattava di nominare i dieci membri di competenza assembleare sui 17 che compongono il Consiglio regionale della Corsi. Non è il caso qui di entrare nel merito di quanto accaduto, se non per constatare da un lato che se la non elezione di Marco Borradori segna il marcato declino della Lega, dall’altro Plr e Ppd stanno combattendo una feroce battaglia per il controllo delle posizioni di potere, ad indicare quanto poco sicuri si sentano anche i due partiti borghesi. Ma la giornata di sabato è stata soprattutto avvilente per la stessa Rtsi, un ente radiotelevisivo nazionale costretto a subire sul suo capo i piccoli intrallazzi della nomenclatura politica locale, sia essa ticinese piuttosto che grigionese. Ed è proprio lo sfrenato localismo che è oggi la più pesante palla al piede dell’ente radiotelevisivo svizzero di lingua italiana. Un localismo quasi patetico per come cerca di proteggere la Svizzera italiana dai pericoli provenienti dal vasto mondo. Soprattutto però un localismo anacronistico, che ignora (ed è solo un esempio) che oltre la metà degli italofoni di questo Paese vive al di fuori della Svizzera italiana: ma al mondo dell’immigrazione la Rtsi sembra riservare spazi casuali, dipendenti più dalla buona volontà di qualche giornalista sensibile che non da precise scelte di programmazione. Se la Rtsi continuerà ad impiegare quasi il 25 per cento dei mezzi della Ssr per produrre programmi destinati soltanto al 3,5 per cento della popolazione svizzera, ben difficilmente potrà garantirsi ancora a lungo una chiave di riparto così favorevole fra le diverse aree linguistiche del Paese. Il consigliere nazionale Filippo Leutenegger lo ha già detto in maniera esplicita. La Rtsi dunque potrà ancora giustificare in futuro il trattamento privilegiato di cui gode solo se saprà essere un ente radiotelevisivo davvero nazionale. In questo senso l’assemblea Corsi di sabato non è di buon auspicio. E allora si può forse incominciare rivedendo gli statuti della Corsi stessa, che ammettono fra i suoi membri e negli organi dirigenziali soltanto persone con il domicilio o il luogo d’origine in Ticino o nel Grigioni italiano. Una norma giusta in passato, oggi ampiamente superata. L’esempio può venire dal Festival di Locarno, che ha iniziato a costruirsi la solidità odierna nel momento in cui ha aperto i suoi organismi esecutivi a personalità di tutta la Svizzera. La Corsi potrebbe cominciare ad aprirsi a tutti gli italofoni della Svizzera: sarebbe un primo, giusto riconoscimento dell’importanza dell’immigrazione italiana per l’economia e la cultura del nostro Paese.

Pubblicato il 

11.06.04

Edizione cartacea

Nessun articolo correlato