La Bibbia fra pecore e polli

Nella Bibbia, gli animali occupano uno spazio non indifferente. Sono presenti a vario titolo: come aiuto “non simile a lui” all’essere umano, come elementi per la celebrazione del culto o, a volte, come oggetti di culto. Posti accanto all’uomo e alla donna nel giardino creato da Dio, per la Genesi, gli animali sono essenzialmente amici, salvo quando personificano il male come il famoso serpente che tenta Eva ed Adamo. Ciononostante, in un altro libro biblico, quello dell’Esodo, il serpente assume un doppio ruolo, in quanto è mortale se velenoso e morde gli Israeliti ribelli a Dio, ma può diventare simbolo di guarigione se è guardato con fiducia dagli Ebrei che l’invocano da Dio. Inoltre, nella pratica religiosa, non tutti gli animali sono adatti ad essere sacrificati: ci sono quelli considerati puri e gli altri invece impuri. La distinzione riguarda anche le norme alimentari: possono servire da cibo agli uomini solo gli animali graditi in sacrificio dalla Divinità. Se per ebrei e musulmani, oggi ancora, il maiale è da evitare nel modo più assoluto, per contro, gli ovini e i bovini rappresentano gli animali legittimati sul piano culturale e alimentare. Per la mentalità corrente (benché non più molto abituata a ragionare in termini agricoli, come invece fa la Bibbia), la pecora o l’agnello evocano ancora attitudini positive quali la mansuetudine e l’innocenza. Prese però in gruppo, le pecore assumono facilmente un comportamento poco invidiabile: diventano una massa stupida e credulona, che segue senza riflettere gli ordini impartitigli. Divengono quel che si dicono pecoroni: vanno dietro al capo del gregge senza esitazioni né contese, a testa bassa. Non a caso, quest’immagine viene usata volentieri per designare le persone, che si lasciano imbonire da un condottiere qualunque e guidare verso scelte che potrebbero rivelarsi equivoche o perlomeno contestabili. È in fondo però quanto cerca di fare un numero crescente di esponenti politici, in un clima di lotta senza quartiere per la conquista del potere come l’attuale. Si diffonde la tecnica del confronto a muso duro e dello scontro diretto, dell’accusa personale sfiorando il limite sensibile della denigrazione. S’applica senza pudore ai concorrenti la classica regola: “mors tua, vita mea”. Ed i contendenti della parte opposta sono dipinti con le tinte più fosche, per sottolineare la pretesa luminosità del proprio programma politico. In pratica, gli avversari politici o i loro partiti sono esposti senza mezze misure alla berlina e tacciati d’ammaliare le folle con false promesse. Ma alla fin fine i presunti pecoroni rischiano di ritrovarsi come dei polli spennati da quanti si presentano da paladini dei veri valori. L’invito evangelico ad essere prudenti come i serpenti mostra nel presente tempo preelettorale tutta la sua pertinenza!

Pubblicato il

10.10.2003 14:00
Martino Dotta
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