Scommettere sull’abbandono dell’energia nucleare in Svizzera resta un azzardo, soprattutto dopo le prime decisioni adottate recentemente dal Consiglio nazionale nell’ambito della cosiddetta “Strategia energetica 2050”, un pacchetto di misure elaborate dal governo all’indomani della catastrofe di Fukushima del 2011 che ci dovrebbe portare fuori dall’atomo. La potente lobby nucleare, al di là delle apparenze e delle dichiarazioni di facciata, è riuscita ancora una volta a imporsi e la dichiarata “svolta energetica” resta per ora solo un vocabolo ricorrente nei titoli dei giornali. Per rendersene conto basta leggere con un po’ di attenzione la legge che è stata votata. Stabilendo un tempo di esercizio massimo di 60 anni per la maggior parte dei reattori più vetusti (in origine concepiti per un ciclo di vita di 30-40 anni!), la più vecchia centrale nucleare del mondo (Beznau I) potrà restare in esercizio fino al 2029, mentre Beznau II e Mühleberg potranno “tirare” fino il 2032 (la seconda, in realtà, chiuderà nel 2019, ma solo perché lo ha deciso il gestore). Per le centrali più “recenti” (Gösgen aperta nel 1979 e Leibstadt nel 1984) è sì stato fissato un limite di 40 anni, ma anche la possibilità per i proprietari di chiedere una proroga rinnovabile di dieci anni in dieci anni sottoponendo un piano di gestione a lunga scadenza all’Ispettorato federale sulla sicurezza degli impianti nucleari (Ifsn), cui toccherà poi decidere se accordare la concessione. Questo significa che le due centrali potrebbero ancora essere in esercizio anche dopo il 2050, cioè a “svolta energetica” avvenuta. Una vera follia! Ma non è tutto: Se l’Ifsn dovesse disporre la messa fuori esercizio dell’impianto, il gestore potrebbe chiedere un indennizzo per gli investimenti non ammortizzati. E siccome non si tratterebbe di bruscolini, è facile immaginarsi quanto potere ricattatorio si conceda ai gestori con una norma di questo tipo. Tutto ciò è potuto succedere perché una settantina di consiglieri nazionali (tra cui i ticinesi Cassis, Merlini, Regazzi, Romano e Rusconi) che nel 2011, alla vigilia delle elezioni – dettaglio non certo trascurabile – si erano detti favorevoli ad un abbandono totale del nucleare entro il 2034, hanno tradito le promesse elettorali bocciando la proposta di limitare a 50 anni il ciclo di vita degli impianti. Alcuni (tra cui i già citati Merlini e Rusconi) si sono addirittura schierati contro il divieto di costruzione di nuovi impianti. Per ora si è insomma deciso di sfruttare l’energia atomica fino all’ultimo e di esporre i cittadini a un rischio accresciuto. Senza voler essere catastrofisti, è infatti evidente che il prolungamento della vita delle centrali non è un investimento per la sicurezza: del resto, fino all’altro ieri, erano gli stessi gestori delle centrali a motivare la necessità di costruire nuovi impianti col fatto che quelli esistenti andrebbero spenti dopo 50 anni. Alla luce di tutto questo, facciamo veramente fatica a definire “storica” o anche solo un “compromesso accettabile” (come hanno fatto anche alcuni esponenti del campo rosso-verde) la legge licenziata dal Nazionale. Ci pare più corretto parlare di capitolazione davanti alla lobby nucleare. I giochi, certamente, non sono ancora fatti, perché il dossier deve ancora essere esaminato dal Consiglio degli Stati. Ma non ci si devono fare troppe illusioni. La stessa iniziativa dei Verdi che chiede di limitare la durata di vita delle centrali a 45 anni, se venisse bocciata dal popolo (ipotesi tutt’altro che remota visto che gli avversari si possono permettere campagne di propaganda milionarie) potrebbe alla fine fare il gioco della lobby nucleare, che all’idea dell’abbandono non si rassegnerà tanto facilmente.
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