Il “Global Debt Monitor”, dell’Istituto di Finanza Internazionale, ci segnala che il debito mondiale è ancora aumentato di 7.000 miliardi di dollari, raggiungendo il nuovo primato di 318mila miliardi di dollari. Tre volte quanto produciamo di ricchezza nel mondo in un anno! Aggiungiamo ora i miliardi che si prevedono per il riarmo. Un filosofo e sociologo italiano, Maurizio Lazzarato, pubblicava già una quindicina di anni fa La fabbrica dell’uomo indebitato. Saggio sulla condizione neoliberista (ed. DeriveApprodi, 2011). Un classico, ormai. Più che attuale. Vi si dimostra come il neoliberismo agisca come cappa di piombo sulla quotidianità dei popoli e come il debito sia usato dai “politici” come mezzo per controllarli e turlupinarli. La crisi finanziaria del 2008 (quella del sovra-indebitamento dei privati, nata negli Stati Uniti, diffusasi nel mondo) non ha cambiato o indebolito il capitalismo finanziario. L’ha anzi rafforzato, rendendolo più autoritario nella forma politica. E più folle se lo consideriamo ora. Come mai? Perché l’idea più efficace per domare la popolazione è stata e rimane quella di saldare i debiti. C’è un che di paradossale nel rilevarlo, benché il paradosso stia diventando sempre più la realtà. Qui il vero paradosso sta però ancora altrove. La forza del neoliberismo sta nel far credere ad ognuno che è libero. Libero (scrive l’autore citato) “nella misura in cui assumi il modo di vita (il consumo, l’occupazione, le spese sociali, le imposte) compatibile con il rimborso”. Il cittadino va colpevolizzato con il dovuto rimborso del debito. È questione morale: non essere “cicala” che canta (spende) e non moltiplica (ricchezza). Nella categoria delle cicale si collocano così subito coloro che politici neoliberisti dominanti, o economisti portaborse, definiscono “gli assistiti”, quelli che “costano alla società”. Senza mai chiedersi chi li crea o perché esistono. Lazzarato nella sua analisi va anche oltre sostenendo che il neoliberismo ama nascondersi nell’infinitezza del cristianesimo, santificando il capitalismo. E cioè: il capitale inteso come miracolosa autocreazione del valore, del denaro che genera denaro e che anche grazie al debito (una sorta di auto-perdonanza) va oltre i propri limiti, verso l’infinito (è l’In God we trust o God bless America degli Stati Uniti “cristiani”, non a caso il Paese più indebitato del mondo). L’“economia del debito” riorganizza due antiche realtà: la proletarizzazione delle classi medie-basse e l’economia di guerra. La prima avviene con mossa iscritta nella sua logica perversa: sottrazione a chi ha poco (con l’inflazione, ad esempio) e addizione per chi ha molto (altra ricchezza con sgravi fiscali, deregolamentazioni, corruzioni). La seconda togliendo ogni limite alla spesa militare, con il pretesto della sicurezza, soprattutto per proteggere e incrementare il capitale. Lazzarato scrive: “Le battaglie che in altri tempi si svolgevano attorno al salario, oggi sembrano aver luogo attorno al debito pubblico, diventato una sorta di salario socializzato. Infatti, le politiche neoliberali di antidebito o rimborso si concentrano e passano attraverso la restrizione dei diritti sociali (salute, pensioni, lavoro), la riduzione dei servizi, dell’impiego pubblico, dei salari. In funzione dell’“homo debitor”, l’uomo indebitato, esaltando l’“homo bellicus”, il militare”. E qui, pensando a noi, Confederazione o Cantone, potremmo aggiungere come per i vecchi teoremi: c.d.d., come dovevasi dimostrare. |