L'orgoglio operaio piega il gigante

Dopo il corteo dei lavoratori a Genova a cui si è unita anche la polizia, ArcelorMittal ritira licenziamenti e sospensioni

Il gigante, pensando di avere a che fare con una bambina fragile, ha tentato l’affondo: adesso licenzio chi mi critica, e l’ha fatto. Ma la bambina tanto fragile non è, ha indossato il casco giallo e ha bloccato tutto, la sua fabbrica e la sua città. Allora il gigante ha pensato: me la lavoro io questa ribelle, e ha spedito 250 lettere ad altrettante braccia e gambe di quella bambina, con su scritto: da oggi tutti a casa senza stipendio. La bambina è ripartita, dopo aver spazzato la fabbrica ha invaso la città, ha raccolto lungo il percorso altre bambine targate Leonardo, Fincantieri, camalli del porto, Ansaldo e il serpentone guidato dai caschi gialli dell’ex Ilva ora ArcelorMittal è arrivato davanti alla prefettura. A sbarrargli il passo ha trovato il solito cordone di caschi blu, insomma “la pula”, come nel copione di un film già visto: di qua rabbia, slogan, qualche spintone e di là i manganelli e i lacrimogeni. Come è stato contro gli operai dell’acciaieria di Terni o di tante altre fabbriche in lotta. Invece, dal servizio d’ordine sindacale che cercava di evitare il peggio è partito un appello rivolto ai poliziotti: «Toglietevi il casco, state con gli operai». Prima un poliziotto se lo toglie, poi un altro lo imita e in pochi secondi tutti i poliziotti hanno il casco in mano. Parte spontaneo un applauso, la bambina nasconde sotto la mascherina una lacrimuccia di commozione. E poi l’incontro con il prefetto, la mediazione, il gigante che ritira il licenziamento e anche le 250 lettere di sospensione. La bambina alza il pugno, il gigante si piega, il corteo torna in fabbrica, la sua fabbrica a Cornigliano, quartiere operaio di Genova. Genova per noi, canta Paolo Conte, eppur parenti siamo un po’/ di quella gente che c’è lì/ che in fondo in fondo è come noi selvatica...


In questo articolo sul lavoro e l’economia al tempo del Covid per una volta non vi parlerò di crescita della povertà, delle toppe messe dal governo, del blocco dei licenziamenti e del rinnovo della cassa integrazione, degli operai della Whirlpool che non ci stanno a tornare a casa (reportage a pagina 15), della Confindustria che dopo aver insultato il governo e i sindacati fa perdere la pazienza anche ai redattori della sua testata (Il Sole 24 ore) che denunciano l’invasione e le imposizioni del padrone.

 

Un luogo simbolico
Ho scelto una storia che sembra da poco – così è sembrata ai media italiani che da tempo hanno decretato la fine della lotta di classe – e invece ha un grande valore simbolico, per il luogo in cui si svolge e per i suoi attori. Il luogo è Genova, la stessa città che 19 anni fa fu invasa da un sogno globale: un altro mondo è possibile, fuori dalla globalizzazione neoliberista. La stessa città in cui un governo di destra aveva ordinato a polizia, carabinieri, finanza, guardie carcerarie di spazzar via quella marmaglia e le armi fedeli nei secoli avevano eseguito l’ordine, ammazzato un ragazzo di nome Carlo Giuliani, fatto a pezzi nei viali e nei carrugi giovani, vecchi, bambini, donne, suore e frati, e poi ripulito col sangue di 92 no-global la scuola Diaz, e poi continuato il massacro nella caserma di Bolzaneto. Un’intera generazione traumatizzata, ributtata a casa. Ci sono voluti anni di lavoro, inchieste, depistaggi perché anche la giustizia prendesse atto che polizia, carabinieri, carcerieri avevano massacrato la democrazia italiana, e qualcuno in divisa finì condannato, qualche altro fu sospeso. Ma troppi fecero carriera. Altri due di quei massacratori condannati e sospesi sono stati prima riabilitati e poi anch’essi promossi qualche giorno fa dal capo della polizia Franco Gabrielli e dal ministro degli interni Luciana Lamorgese. Uno dei due aveva materialmente portato alla Diaz 2 molotov fabbricate dalla polizia per accusare i manifestanti, l’altro lo aveva coperto.
Quei poliziotti di Genova che 19 anni dopo si sono tolti il casco davanti ai caschi gialli, gli operai del gigante mondiale della siderurgia, hanno riscattato almeno per un giorno la polizia mandando un messaggio ai loro capi. Ve lo racconto con quella faccia un po’ così/ quell’espressione un po’ così/ che abbiamo noi/ che abbiamo visto Genova. Forse domani quei poliziotti torneranno a obbedire a ordini ingiusti, ma intanto una cosa a Genova è successa. Ai tempi del Covid.


Ps: Lo stato sta rientrando finalmente nell’ex Ilva attraverso Invitalia per impedire che gli indiani di ArcelorMittal facciano scempio dell’acciaio italiano e di chi lo produce. E sapete chi è il capo di Invitalia? Niente meno che Domenico Arcuri, il deus ex machina della lotta alla pandemia. L’Italia ha sempre bisogno di un uomo della provvidenza.

Pubblicato il

19.11.2020 17:34
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