Ci siamo. E stavolta davvero non sappiamo come andrà a finire. Intendiamoci, di sorprese la politica elettorale USA ne ha regalate già in passato, l’ultima fu l’elezione di Donald Trump nel 2016, la penultima la sconfitta di Hillary Clinton alle primarie del 2008. Nel 2024 la sorpresa è che non c’è nessun sondaggista serio che si azzardi a dire “secondo me a vincere sarà…”.

 

Gli ultimi giorni di campagna elettorale hanno riproposto lo schema di ottobre. La democratica Kamala Harris si è rivolta in maniera sempre più insistente alle donne, ha usato una serie di sostituti di grande appeal come i coniugi Obama, ha parlato in Pennsylvania, Michigan e ha tenuto un grande comizio ad Atlanta, la cui area metropolitana è la chiave per vincere in Georgia. Il tono è quello tendenzialmente moderato usato dalla convention in poi, il tentativo è quello di rosicchiare voti a Trump in segmenti di elettorato indecisi che voterebbero repubblicano se il candidato non fosse il miliardario newyorchese. Le donne laureate dei suburbs sono il target. La speranza per Harris è poi che, nonostante il messaggio moderato e il sostanziale silenzio su Gaza, gli elettori più di sinistra, gli studenti che hanno protestato per settimane e gli arabi-americani scelgano di andare a votare perché sanno che con Trump Netanyahu avrebbe luce verde su tutto, senza neppure i pochi freni e paletti posti dall’amministrazione Biden. L’altra speranza è che la mobilitazione del sindacato in Stati con una storia di declino industriale che le politiche di Biden hanno parzialmente contenuto, possa aiutare a raccogliere percentuali accettabili di voti tra quei maschi bianchi non laureati che propendono largamente per Trump. L’ultima speranza è che quelle che si chiamano groundwork operations, le operazioni sul campo, abbiano fatto un buon lavoro, mobilitando l’elettorato delle minoranze, ricordando agli elettori discontinui come si vota, dove e quando.

 

La campagna di Trump ha puntato su North Carolina e Michigan per gli ultimi comizi, segno questo che come per Harris la Pennsylvania è considerata a rischio, per Trump lo è lo Stato del Sud. L’ex presidente ha scelto di non cercare di allargare la sua base elettorale ma di consolidarla con un messaggio più radicale che mai: licenziamento dei generali che hanno condotto le operazioni in Afghanistan, plotone d’esecuzione per la traditrice Liz Cheney, figlia dell’ex vicepresidente e già rappresentante in Congresso, che ha fatto campagna per Harris, battute sulla possibilità che un cecchino spari ai giornalisti durante un suo comizio. Parallelamente le promesse elettorali sono sostanzialmente tre: dazi sulle merci importate che tutti gli economisti dicono farebbero salire l’inflazione e colpirebbero a loro volta l’export USA a causa delle ritorsioni, espulsione di milioni di immigrati orchestrata da quell’eminenza grigia ed estremista che è il consigliere Stephen Miller, ridimensionamento dello Stato con la promessa che sarà Elon Musk a soprassedere alle operazioni. Trump non vuole o non è in grado di cambiare tono per provare a convincere qualcuno in dubbio, in questo caso, la sua speranza è che i suoi elettori si presentino alle urne in numeri inattesi come è già accaduto nel 2016 e anche nel 2020, quando lo sconfitto prese comunque 12 milioni di voti in più che 4 anni prima (Biden ne prese 16 in più di Clinton).

 

Come è noto le elezioni presidenziali USA si vincono negli Stati e non con il voto nazionale, che se fosse così, dal 2000 a oggi il solo presidente repubblicano sarebbe stato George W. Bush nel 2004. L’altra cosa da ricordare è che ciascuno Stato elegge un numero di grandi elettori sulla base del numero di abitanti e che sono questi a eleggere il presidente. Vincere uno Stato che nomina più grandi elettori è più importante che perderne due con pochi, per diventare presidente servono 270 grandi elettori (la metà più uno). Sappiamo anche che ci sono Stati dove il risultato è scontato, come la California democratica o l’Alabama repubblicano. A quali Stati guardare allora? L’elenco è presto fatto: c’è il gruppo del Midwest – Pennsylvania, Michigan, Wisconsin – ci sono due Stati del Sud – Georgia e North Carolina – e due del West – Nevada e Arizona. Gli Stati più giovani e diversi si avvicinano ai democratici, gli Stati dove più si è sentito il declino dell’industria pesante si spostano un po’ a destra. In Georgia e North Carolina le minoranze pesano al 45%, la Pennsylvania è 75% bianca e il Michigan lo è al 73%. Queste percentuali indicano come e quanto il messaggio, lo sforzo dei volontari debba essere mirato e puntuale: un operaio bianco di una cittadina ex company town del Wisconsin guarda alle cose in maniera molto diversa da una donna afroamericana dei quartieri di case popolari di Atlanta.

 

Salvo rare eccezioni i sondaggi ci dicono che nessuno tra i due contendenti può considerare certa una vittoria in nessuno di quelli che si chiamano swing states: l’ultimo sondaggio del New York Times, ad esempio, dà Harris in vantaggio in North Carolina e Georgia, le medie del Washington Post la danno in svantaggio negli stessi Stati. Siamo sempre e comunque dentro il margine di errore. Che dopo una presidenza pessima, il 6 gennaio 2020 e una campagna più estrema, cupa, rancorosa che non nelle due passate, Trump sia ancora competitivo è una sorpresa se non si tiene conto, appunto, delle quote di elettorato che solo lui è in grado di mobilitare e portare alle urne e di quanto l’inflazione e i prezzi delle case troppo alti siano stati un macigno sul benessere della middle class meno abbiente.

 

Mentre scriviamo hanno già votato per posta o di persona 72 milioni di persone, 30 in meno che nel 2020 quando il Covid e uno sforzo del partito democratico produssero un record di partecipazione elettorale prima del giorno del voto e 20 in più che nel 2016.

 

A proposito di voto in anticipo, la modalità in cui i voti vengono contati cambia di Stato in Stato. Perché è importante? Perché in alcuni Stati quei voti vengono contati dopo quelli espressi nell’election day. Questo potrebbe significare che i dati della notte potrebbero cambiare al mattino perché tra le schede depositate in anticipo nell’urna ci sono più democratici o repubblicani che non tra coloro che hanno votato martedì. Nel 2020 Trump era in vantaggio nella notte ma ha visto i consensi declinare una volta che si sono contati i voti in anticipo. La differenza con il 2020 è che la quota di voti repubblicani è cresciuta perché questa volta Trump ha incoraggiato quella modalità, difficilmente, dunque, si riproporrà uno scenario in cui il voto in anticipo cambia radicalmente il quadro. Ma se le elezioni dovessero essere sul filo di lana, allora quei voti saranno più che determinanti. Tra gli Stati in bilico dove questa modalità si è usata di più ci sono Georgia e North Carolina e questo potrebbe essere un segnale interessante per Harris.

 

E qui veniamo al giorno dopo. Il partito repubblicano, Trump e l’algoritmo di X, il social network di proprietà di Elon Musk, stanno creando un clima di sospetto e diffondendo teorie del complotto sui brogli. È probabile che in caso di sconfitta di Trump ci sia una chiamata alle armi, che qualcuno decida di presentarsi nei luoghi in cui si contano le schede, che si ricorra alla violenza. Sarebbe l’ennesimo segnale del cattivo stato di salute della democrazia e della società americane. Una vittoria di Trump sarebbe un segnale di una malattia più grave e pericolosa.

Pubblicato il 

04.11.24