L’isola delle vacanze

L’ultimo giro di chiave e la porta della stanchezza si chiude alle nostre spalle. Pronti o no, partiamo. È la classica immagine delle vacanze: staccare la spina e lasciarsi dietro la quotidianità lavorativa e i suoi fardelli. Mettere una distanza, la più grande possibile fra la fatica e il riposo. Questo è il punto: la distanza. Perché per molti – per tornare all’immagine d’apertura – l’unica cosa è solo il portone di casa. E non basta sovrapporre chilometri e chilometri per seminare ciò che non si vorrebbe ritrovare più al ritorno. L’impressione, in questo momento di punti interrogativi sempre più forti nel mercato occupazionale, è che per molte categorie di lavoratori lo “stacco” si sia appesantito dell’incognita del futuro lavorativo. Ed ecco che qui la vacanza come “distanza” assume le connotazioni della sicurezza e del rispetto dei diritti. Insomma, senza serenità non c’è vera vacanza. Che senso hanno dunque espressioni come “ritemprarsi”, “andare in vacanza” per coloro che vivono nel precariato, per chi svolge un lavoro interinale, per chi lavora su chiamata? Qui, prima di parlare di “etica delle vacanze”, bisognerebbe parlare di “etica del lavoro”… E non è, purtroppo, una parentesi, quella che abbiamo aperto, che riguarda solo una categoria ridotta di lavoratori. La flessibilità sta attraversando un po’ tutti i mondi lavorativi e quindi la stragrande maggioranza dei lavoratori. Che corrono tutto l’anno per stare al passo con le leggi di mercato e che continuano… a correre anche quando sono in vacanza. Forse è questa la grande sfida: riuscire a fermare questo “spasmo involontario” nel momento della pausa. Uno spasmo che rischia di buttarci in pasto ad altre logiche di mercato, turistico o di divertimento che sia. Fermiamoci, riprendiamo quel tempo che logiche dell’utilità tentano di invaderci. Riprendiamoci quella distanza che nessun lungo viaggio ci può dare, una distanza fatta di un tempo che cammina coi nostri ritmi, che ci permetta di capire in che direzione stiamo andando, di riappropriarci di piaceri perduti nello stress della routine, di contatti sospesi, che ci permetta di non programmare una giornata e lasciarla scorrere anche nella sua lentezza. Fermiamoci perché forse l’isola che cerchiamo è proprio questa: il poter scegliere come e dove spendere il tempo del riposo. Senza fretta.

Pubblicato il

11.07.2003 00:30
Maria Pirisi