Ci siamo appena lasciati alle spalle un millennio e siamo entrati in una nuova era. L’era della comunicazione globale. Del tempo reale. Del tutto e subito. È possibile comunicare con tutto il mondo «civilizzato» con una semplice connessione ad internet, la rete delle reti (almeno così c’è stata venduta), e abbiamo ancora bisogno di trasportare le merci con una delle invenzioni più antiche: i carri che nel frattempo sono diventati autocarri. Ogni giorno, ogni ora, migliaia d’automezzi trasportano merci e prodotti finiti in lungo e in largo per l’Europa attraversando passi, ponti e tunnel oltre che città e paesi. Un andirivieni spesso inutile. Infatti, circa la metà delle merci trasportate lo è solo per la caccia al minor costo e al maggior profitto. Ecco la chiave di lettura della tragedia del Gottardo: minori costi e maggiori profitti; flessibilità e produttività; binomi che sono diventati delle costanti nel pensiero economico dominante, e che possono essere tradotte con una parola, anch’essa in gran voga e spesso usata a sproposito: globalizzazione. Non è un mistero che, ad esempio, produrre in Romania costi meno che in Germania e che il mercato francese sia più ricco di quello polacco. Ora con il «miracolo» dei trasporti via terra, senza eccessivi costi aggiuntivi, è possibile produrre in posto e vendere altrove. Come il capitale, che per natura cerca la maggiore remunerazione possibile e si muove agilmente e sfuggevolmente tra i meandri dei mercati finanziari, anche l’industria e il commercio cercano di fare altrettanto. Assecondati in questo da una società iperconsumistica che si interroga sempre meno sulla provenienza e dei viaggi inutili dei prodotti che consuma. Anche’essa, in certo senso, è interessata al minor prezzo. Ora ci troviamo confrontati con la chiusura della galleria del S. Gottardo, la principale arteria di traffico merce tra il Nord e il Sud dell’Europa. Si è polemizzato sulla sicurezza e sul raddoppio del traforo. Si sono rimpallate responsabilità morali o meno. Si è parlato addirittura, a sproposito, di eco terrorismo. Ma ancora una volta si è persa l’occasione per dibattere del vero problema di fondo: la riorganizzazione del nostro agire economico.

Pubblicato il 

09.11.01

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