L’ingenuità e la guerra

La mia “romantica ingenuità da bambino” (come sarcasticamente viene etichettato il pensiero pacifista; definizione che in verità mi lusinga) mi fa riflettere e pensare che in guerra gli unici che ci guadagnano sono i fabbricanti d’armi. Che la condizione necessaria e sufficiente affinché i fabbricanti possano svolgere i loro affari sia l’infatuazione per una patria, una bandiera, cioè il nazionalismo. Quell’ingenuità che mi fa immaginare un mondo senza confini, senza religioni.

 

Sono così ingenuo da non credere che le multinazionali lascino il paese nemico mosse da spirito di giustizia e umanità. Ma credere che la scomparsa del patto di Varsavia avrebbe dovuto portare anche alla dissoluzione della Nato. Da non capire come un genitore, dopo aver messo al sicuro il proprio figlio, possa tornare a dar man forte ai soldati, per amor di patria (ritenendo vigliacco chi si comporta diversamente). Ho l’ingenuità di esporre la bandiera della pace sapendo che mi si accuserà di ipocrisia. Di pensare che non abbia alcun senso dire “se vuoi la pace, prepara la guerra”. Che Martin Luther King andrebbe rispettato e non citato a sproposito. La stessa ingenuità mi suggerisce che ognuno di noi potrebbe fare la propria parte per consumare un po’ meno. E mi pone il dubbio: è utile mandare con il cibo anche le armi ai civili assediati, perché se muori in battaglia il cibo a cosa ti serve?

                                                                                                                       Noi adulti composti, seriosi, responsabili, invece la guerra la facciamo e la giustifichiamo. Concluderei consigliando con romantica ingenuità l’ascolto della canzone di Georges Brassens “La ballade des gens qui sont nés quelque part”.

Pubblicato il

23.03.2022 15:15
Antonello Cecchinato