USA

Una settimana è bastata per confermare tutte le paure. La presidenza Trump si presenta come pericolosa e potenzialmente dannosa per gli americani, l’ordine mondiale, la sopravvivenza del pianeta. Esagerato? Può darsi: a volte si usano toni eccessivi per rappresentare ciò che non ci piace. E spesso l’eccesso di allarmismo provoca la noia di chi non è particolarmente partigiano. Eppure, dal discorso inaugurale, alla prima conferenza stampa, fino agli ordini esecutivi dei primi due-tre giorni di attività, il buongiorno non si vede dal mattino.

 

L’America dipinta da Trump nel messaggio inaugurale, che di solito è un modo per riconciliarsi con il Paese che non ti ha votato, è la foto di un panorama apocalittico: «carneficina», «ruggine», «sistema educativo al collasso» e inner cities in preda a violenza, droga, morte. Nemmeno nel 2009, in preda alla crisi più nera, l’America era davvero quella. Ma ha funzionato in campagna elettorale, perché non proseguire? L’altro messaggio di Trump è al popolo e alla politica: «Oggi a comandare, finalmente, siete voi» e «È finito il tempo delle chiacchiere politiche e niente azione». Come dire, se non obbedirete vi scateno contro la piazza. L’appello diretto al popolo è una delle caratteristiche dell’idea del neopresidente – come di mille altri in questa fase storica – e funziona anche nel rapporto con i media: l’account twitter, che Trump non ha dismesso e dal quale continua a utilizzare toni eccessivi, è un modo per aggirare e attaccare quei grandi media che lo criticano («Grande diretta dell’inaugurazione, molto vista su Fox News – il canale amico – molto meno su quei falliti di Cnn» ha scritto in 140 caratteri il presidente, per dirne una). E visto che i media sono un possibile nemico che racconta frottole, il primo “press briefing” del portavoce Michael Spicer è diventato una surreale spiegazione di come i media avessero dato numeri falsi sulla quantità di persone che hanno partecipato alla cerimonia di insediamento. Altrettanto improbabile la seconda uscita di Spicer, durante la quale ha ribadito l’idea che Trump avrebbe vinto il voto popolare – perso per 2,8 milioni di voti – e «milioni di immigrati illegali» non avessero votato per Clinton. Le prime due uscite di Spicer hanno fatto scrivere ad alcuni che sarà il caso, per i media seri, di boicottare i briefing per non dare spazio a bugie ufficiali.


Poi vengono gli ordini esecutivi, l’unico modo che ha il presidente per emanare leggi, solo su alcune questioni e senza poter impegnare risorse finanziarie, che vanno approvate dal Congresso. I primi ordini non cambiano necessariamente le cose davvero, in molti casi servono leggi, approvazioni, permessi. Ma danno un’idea della direzione e della conversazione che Trump vuole fare con gli americani. Congelamento delle assunzioni da parte dello Stato federale – anche se l’occupazione pubblica oggi è molto più bassa che ai tempi dell’anti-Stato Reagan; ordine di costruire il muro alla frontiera – anche se l’immigrazione è in calo; Blocco dell’accoglienza ai rifugiati provenienti da Iraq, Yemen e Siria – alla faccia dell’umanità; uscita dalla Trans Pacific Partnership, il trattato commerciale con l’Asia – che rischia di tradursi in guerre commerciali e nella fine degli Usa come perno dell’ordine economico… un bene, magari, ma una pessima idea se governi gli Stati Uniti; rilancio della XL Keystone Pipeline, bloccata da Obama dopo un movimento di protesta durato anni; congelamento dei finanziamenti alle ong che in Africa offrono anche l’aborto – lo fece già Bush, risultato: meno contraccezione, più gravidanze non volute, più aborti clandestini, più morti. Trump è conseguente in tutto al suo programma politico e sta facendo di tutto per mostrare di essere uno che mantiene la parola. La verità è che si tratta di un presidente che nasce debole e che molte di queste scelte saranno un boomerang o non potranno essere portate a termine per contrasti con il Congresso: sul Tpp diversi senatori del suo partito hanno preso posizioni molto dure. E che cancellare la riforma sanitaria di Obama potrebbe essere tanto complicato quanto impopolare. Nel 2010 Obama venne travolto dall’ondata del Tea Party dopo due anni in cui aveva usato molte risorse pubbliche per frenare il declino dell’economia e forzato la mano al Congresso per approvare la riforma. Trump, a 24 ore dal giuramento, ha già visto tre milioni di persone scendere in strada. I primi ordini esecutivi faranno, ciascuno, infuriare un gruppo – gli ispanici, i lavoratori pubblici, le donne, gli ambientalisti – e genereranno nuove proteste. Il presidente istintivo e narciso sembra voler sfidare tutto e tutti. La speranza è che rimanga scottato prima che a scottarsi siano l’America e il mondo.

Pubblicato il 

25.01.17
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