«Se loro (i soldati israeliani, ndr) affermano di avere sparato in aria e non sulla folla, non possono essere stati quegli spari a essere arrivati sulla folla». Le parole del responsabile della politica estera elvetica Ignazio Cassis rilasciate alla Rsi sull’ennesima strage avvenuta lunedì 2 giugno nella Striscia di Gaza durante la distribuzione di cibo organizzata da una controversa ong americana con sede a Ginevra, hanno scioccato la parte di popolazione svizzera indignata dalla continua violazione del diritto internazionale e umanitario dello stato isrealiano nei confronti della popolazione palestinese. Molte testate svizzere hanno sottoposto a un fact checking le affermazioni di Cassis, smentendo coi fatti i dubbi sollevati dal capo del DFAE. Alcuni editorialisti hanno chiesto le dimissioni di Cassis, nel recente passato per molti anni vicepresidente dell’associazione Svizzera- Israele, una lobby molto influente a Palazzo federale. Nel Paese intanto stanno crescendo d’intensità le critiche alla passività dell’autorità federale sui crimini commessi dallo stato isrealiano nei confronti della popolazione civile palestinese. Cinquemila persone avevano sfilato a Bellinzona lo scorso 24 maggio chiedendo al Consiglio federale di “agire immediatamente per cercare di fermare i gravissimi crimini contro l’umanità che Israele sta compiendo a Gaza e in Cisgiordania”, oltre 130mila cittadini hanno sottoscritto in pochi giorni la petizione promossa dal Partito socialista con le medesime rivendicazioni e lo stesso hanno fatto numerose città elvetiche e cantoni, Ticino compreso, all’indirizzo delle autorità federali. Perfino oltre duecento collaboratori del DFAE hanno duramente criticato Cassis per la sua passività, come rivelato oggi dal Tages Anzeiger. Nei giorni precedenti, 60 ex diplomatici svizzeri avevano fatto altrettanto in una lettera aperta indirizzata a Cassis. Tra questi, Jean-Philippe Jutzi, per un quarto di secolo giornalista della carta stampata in diverse testate romande occupandosi di cronaca nazionale e internazionale, negli anni Duemila aveva fatto il “salto della barricata”, assumendo la comunicazione istituzionale in diversi ambiti in seno al DFAE fino al 2020, anno del pensionamento. Il profilo ideale per aiutare a decriptare le frasi e l’atteggiamento del capo della diplomazia elvetica e, di riflesso, dell’intero Consiglio federale. Jean-Philippe Jutzi, da un punto di vista comunicativo, come valuta le affermazioni del Capo DFAE, Ignazio Cassis, sui morti durante la distribuzione di cibo rilasciate alla RSI e alla RTS? Incredibili, allarmanti e amatoriale in materia di comunicazione. Un consigliere federale navigato che fa delle dichiarazioni per nulla conformi alla maggioranza d’informazioni oggettive di cui si dispone, è sconvolgente. A titolo personale, senza alcuna carica pubblica, posso solo dirmi terrificato dalle dichiarazioni di Ignazio Cassis, che non tengono conto dei fatti acclarati dalle istituzioni internazionali, da centinaia di ong, da testimonianze dirette. Contestare gli spari dell’esercito israeliano sulle persone alla ricerca di cibo, equivale a nascondere la verità all’opinione pubblica svizzera. Un consigliere federale che non dice la verità, quando gli elementi oggettivi sono sul tavolo, è estremamente grave. Si può parlare di una perdita di credibilità della Svizzera a livello internazionale? Certamente. La credibilità elvetica costruita storicamente nel suo ruolo di paese depositario delle Convenzioni di Ginevra e di culla del diritto umanitario, ne esce fortemente indebolita. Quanto espresso da Cassis non è la sua opinione personale, ma investe l’intero Consiglio federale. Il governo lo ha sempre sostenuto: la politica estera svizzera non è la politica del ministro degli affari esteri, ma di tutto il Consiglio federale. Ne consegue che sia il Consiglio federale stesso ad indebolire pericolosamente la credibilità della Svizzera sulla scena internazionale. Quando ventidue stati, tra cui la Francia, Gran Bretagna e Canada, firmano una dichiarazione in cui contestano a Israele di aver commesso dei crimini di guerra e la Svizzera si rifiuta di sottoscriverla, è un fatto grave. Stiamo parlando di accuse ben precise, portate avanti da Stati solidamente democratici e molto affini ai valori del nostro paese. La neutralità elvetica non consente di tacere sui crimini commessi dallo stato israeliano a Gaza e in Cisgiordania. Nella sua lunga esperienza professionale al DFAE, è la prima volta che assiste a una rottura tanto importante con la tradizione elvetica del rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale? A mia conoscenza, negli ultimi decenni è la prima volta che ci si spinge tanto lontano. Nella storia elvetica vi sono dei precedenti, ma risalgono alla seconda guerra mondiale o agli anni Ottanta, quando la Svizzera era l’unico Stato occidentale a continuare a fare affari con il Sudafrica dell’apartheid. Ma negli ultimi venticinque anni, non è mai successo che la Svizzera de-solidarizzi in questo modo con dei valori in cui crede e dovrebbe difendere. A suo giudizio, la pressione popolare in crescita, gli appelli dei cantoni, le lettere aperte degli ex diplomatici, perfino del personale del DFAE, riusciranno a far cambiare la posizione del consigliere federale Cassis? C’è chi chiede le sue dimissioni… Lo spero, ma non credo si arriverà a tanto. Naturalmente mi felicito nel vedere spezzoni sempre più importanti della società civile spingere per un cambiamento, ma il sistema istituzionale è tale che nulla obbliga il Consiglio federale a rivedere la sua analisi e, soprattutto, nulla può spingere un Consigliere federale a dimissionare. Solo lui, o lei, possono decidere di farlo. E poiché il governo non ha reagito alle dichiarazioni di Cassis, si deve partire dal presupposto che le condivida. Sarà interessante osservare nei prossimi giorni, se incalzato da parlamentari durante l’ora delle domande alla sessione attuale, il Consiglio federale ribadirà o meno il suo sostegno alla linea finora perseguita dal capo DFAE. |