L'identità oppure la vita

Armi d'ordinanza conservate in arsenale, creazione di un registro centrale delle armi da fuoco e obbligo di motivare la necessità di conservare un'arma in casa, nonché dimostrarne l'attitudine. È quanto chiede l'iniziativa "per la protezione dalla violenza perpetrata con le armi".

Il 13 di febbraio saremo chiamati alle urne per pronunciarci su quest'iniziativa popolare, lanciata nel 2007 in seguito ad una serie di drammi (vedi box) che avevano scosso l'opinione pubblica. Era stata la rivista Annabelle a lanciarla, raccogliendo in breve tempo un ampio sostegno. Non c'era quindi nulla di politico dietro, ma solo lo sconcerto per quanto stava succedendo e la convinzione che il Governo avrebbe dovuto fare qualcosa per impedire che vicende simili si potessero ripetere.
Anche se il consenso all'iniziativa è ampio, ci sono pure delle voci critiche e il Governo stesso raccomanda di respingerla. L'argomento principale degli oppositori è legato alla tradizione tipicamente svizzera dell'esercito di milizia: obbligare i soldati a lasciare l'arma all'arsenale li farebbe sentire meno svizzeri. area ne ha discusso con uno dei sostenitori dell'iniziativa, lo storico Josef Lang, consigliere nazionale verde, di Zugo. Lang era gran consigliere a Zugo quando nel 2001 uno squilibrato entrò nella sala del Parlamento cantonale e sparò all'impazzata uccidendo 13 persone e ferendone altre 15, per poi suicidarsi.

Josef Lang, ci può spiegare qual è, per il soldato svizzero, l'importanza di avere l'arma a casa e che legame c'è con l'identità nazionale?
In Svizzera c'è un legame tra l'essere cittadino e il fatto di possedere un'arma. Nel dibattito sull'iniziativa però questo legame è sopravvalutato, anche se esiste nella storia. In passato il fatto di essere cittadino svizzero era strettamente legato all'essere soldato e al possedere un'arma. Questa tradizione storica che lega il possesso dell'arma all'essere cittadino, non valeva però per tutti, visto che la maggioranza delle persone non erano cittadini, come ad esempio le donne (che quindi non avevano diritto di voto) e in generale chi viveva nei baliaggi ed era quindi suddito. Solamente nei Cantoni della Landsgemeinde la maggioranza degli uomini erano cittadini, e quindi armati.
La distribuzione delle armi e delle munizioni a tutti i soldati, invece, risale solamente al 1940, quando i nazisti occuparono la Francia e la Svizzera si trovò circondata. L'idea era che un soldato doveva avere il fucile e le munizioni a casa, in modo da potersi mobilitare più velocemente in caso d'invasione. Si tratta quindi di qualcosa di relativamente recente.
Oggi questo sistema di cittadini armati ha ancora ragione di esistere?
Oggi non c'è nessuno scenario possibile nel quale sia decisivo che i soldati abbiano la loro arma a disposizione in pochissimo tempo. Se questo fosse militarmente necessario, allora l'esercito dovrebbe distribuire due armi a ogni soldato, perché la distanza tra il posto di lavoro e l'abitazione è spesso talmente grande che dover andare a casa a prendere il fucile rallenterebbe la mobilitazione. Questo per dire che l'idea della necessità dell'arma in casa è assurda e superata.
Inoltre, dal 2008 se un soldato che finisce l'obbligo di prestar servizio vuole tenersi il fucile o la pistola d'ordinanza, deve firmare un contratto, come se comperasse un'arma qualsiasi (mentre prima poteva semplicemente non riconsegnarla). Ora, se fosse davvero così importante per la maggioranza degli svizzeri avere l'arma a casa, non sarebbe stato solo il 12 per cento dei soldati a chiedere di poterla conservare. Ciò dice molto sulla reale fragilità di questa tradizione e dimostra che vale solo per una minoranza degli svizzeri.
Gli oppositori all'iniziativa ne hanno però fatto un cavallo di battaglia.
Sì, hanno identificato il fatto di possedere l'arma d'ordinanza con l'essere svizzeri, ma questa identificazione non funziona con le donne (che oggi sono cittadine e hanno quindi diritto di voto). Non so se il dibattito sull'identità nazionale sia una buona idea da parte degli oppositori, perché non credo ci sia una maggioranza di svizzeri che pensa ancora secondo queste categorie. Forse una maggioranza degli uomini, ma non del totale.
Alcune misure però sono già state inserite, ad esempio dal 2007 i militi non ricevono più le munizioni da portare a casa con l'arma. Perché secondo voi questo non basta?
Anche grazie alla pressione di questa iniziativa, il Governo ha già fatto alcuni progressi. Non consegnare più le munizioni è un piccolo progresso. È però molto facile procurarsi di nascosto delle munizioni durante la scuola reclute o al tiro obbligatorio, le munizioni sono molto piccole. Inoltre, se un uomo in una famiglia minaccia moglie e figli con un fucile scarico, l'effetto resta lo stesso, perché gli altri non lo sanno se ci sono i colpi o no e un fucile fa paura per il solo fatto di essere un fucile.
Poi io chiedo sempre a chi sostiene che dare l'arma d'ordinanza ai soldati sia una prova di fiducia da parte dello Stato: dove sta la fiducia se neghiamo le munizioni? Questa decisione del 2007 dimostra che in realtà la fiducia non esiste più.
Lei ha vissuto personalmente il dramma al Parlamento di Zugo nel 2001. Pensa che se all'epoca fossero già state in vigore le misure di prevenzione chieste dall'iniziativa, si sarebbe potuta evitare la strage?
È difficile dimostrare che si sarebbe potuta evitare, ma ci sarebbero sicuramente state più possibilità di impedirla. Infatti, dopo l'attentato, il Governo di Zugo ha chiesto due cose: la creazione di un registro centrale per le armi da fuoco e il divieto dei fucili a pompa.
Perché?
L'attentatore ha comprato l'ultima arma (un fucile a pompa) nel Canton Berna, due settimane prima dell'attentato. Se ci fosse stato un registro centrale, le autorità bernesi avrebbero scoperto che quella persona aveva già comprato delle armi nei cantoni di Zugo, Zurigo e Nidvaldo, così come lo avrebbero saputo le autorità di Zugo. A quel punto la polizia di Zugo, che conosceva bene l'attentatore perché aveva già minacciato l'autista di un autobus con una pistola e stava portando avanti una battaglia contro il Ministro cantonale responsabile dei trasporti pubblici, se avesse saputo da un registro centrale che questa persona aveva acquistato un'arma così pericolosa, si sarebbe messa in allarme e avrebbe avuto la possibilità di intervenire prima ed evitare quanto successo.
Per quel che riguarda il divieto del fucile a pompa, non si tratta di evitare un dramma, ma di ridurne l'ampiezza, perché con un colpo sparato da un'arma di quel tipo, si può uccidere più di una persona. Nel 2001, l'attentatore è entrato nella sala e ha ucciso la prima persona con questo tipo di fucile, che però, fortunatamente, si è inceppato. Così l'ha dovuto gettare a terra e continuare con il fucile d'assalto. Se avesse invece continuato con il fucile a pompa, che da ogni proiettile rilascia otto pallettoni che si espandono e si sparpagliano, il massacro sarebbe stato ancora più mostruoso.

Pubblicato il

28.01.2011 01:30
Veronica Galster