Anche Radio Vaticana si è piegata al potere pubblicitario, trasmettendo, dopo ottant'anni, la sua prima reclame commerciale. In Italia gli uomini della pubblicità dominano i consumi, l'informazione, l'elettorato, il parlamento e il governo; perchè il Vaticano dovrebbe fare eccezione? Sono passati i tempi in cui qualcuno cacciava a frustate i mercanti dal tempio.
Indovinate a chi è stata sacrificata la verginità commerciale di Radio Vaticana. Ai contadini dei Paesi poveri e ai loro prodotti del commercio equosolidale? Alla Banca etica? A un produttore di elettricità che usa solo fonti rinnovabili? No, a Enel, il secondo produttore europeo di elettricità tradizionale. Il suo bilancio italiano nel 2008: bruciando 14 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (più di metà carbone, il resto gas e petrolio) ha emesso 44 milioni di tonnellate di Co2; nel suo mix elettrico ha portato in pochi anni la quota del carbone dal 30 al 50 per cento – «la nuova giovinezza del carbone», scrive Enel. La sua quota prodotta in Italia con le energie rinnovabili è del 30 per cento, quasi tutta con impianti idroelettrici costruiti decenni fa, mentre le "nuove rinnovabili" (eolico, solare, biomasse) sono una quota minima. Dal 2005 al 2009 ha investito nel carbone quattro volte di più che nelle rinnovabili. Ha comprato centrali anche all'estero; così la sua produzione totale nel 2008 è stata metà da combustibili fossili (principalmente carbone), un quarto dall'idroelettrico e un quinto da energia atomica (in Cecoslovacchia). Atomica è anche buona parte dell'elettricità importata in Italia da Enel. Atomiche sono le quattro centrali che prevede di costruire in Italia, investendo 20-30 miliardi euro, che non ha. Enel ha un debito di 50 miliardi, il doppio di quello già enorme di Edf, il primo produttore elettrico europeo. E dove prende i soldi? Una delle soluzioni ventilate è anche la vendita di quote nella divisione a maggiore redditività, Enel Green Power, quella delle energie rinnovabili. Come altre imprese un po' statali e un po' private, Enel potrebbe sfruttare la sua condizione ibrida per fare meglio di altri: con il dinamismo delle imprese private, potrebbe perseguire il bene comune servendo più i cittadini che gli azionisti. Lo fanno all'estero imprese statali dinamiche al servizio dei loro padroni (i cittadini), come per esempio in Svizzera Swisscom (telefonia, internet, televisione), Ferrovie federali svizzere o Autopostale. Invece con Enel – come con le ferrovie italiane – accade l'opposto: una posizione di quasi monopolio, frutto di decenni di proprietà pubblica, è sfruttata per una politica commerciale dettata da manager per i quali conta solo la cassa. Nella reclame vaticana però, invece che di carbone, centrali atomiche e profitti per gli azionisti, si parla d'altro: «Per la prima volta nella sua storia Radio Vaticana ospita un'inserzione pubblicitaria. Enel uno dei protagonisti mondiali dell'energia, si impegna ogni giorno nel rispetto e nella tutela dell'ambiente, investendo in progetti per la ricerca, per il risparmio energetico...». Da un papa tedesco alcuni si aspettavano un po' di quel vento ecologico che soffia in Germania non solo in diecimila turbine eoliche ma anche nei media, nella cultura e nelle Chiese. «Un ritocco ecologico del modello dell'economia sociale di mercato non basta. Necessaria invece è una riforma di struttura verso un'economia di mercato ecologica e sociale nel suo insieme», aveva scritto la Conferenza episcopale tedesca nel 1997 nel suo più importante documento sociale. In Germania la Chiesa Evangelica nel 1995 fece un auto-inventario: 650 mila dipendenti, 80 mila edifici, ogni anno un miliardo di litri di gasolio-equivalenti e due miliardi di chilovattora elettrici, 5 milioni di tonnellate di Co2 (più della Bolivia), 60 mila veicoli a motore, un miliardo di euro per costi energetici e acquisti alimentari. Potenziale stimato di risparmio economico ed ecologico: 37 per cento, cioè una riduzione possibile di 1,8 milioni di tonnellate di Co2. Per la Chiesa cattolica italiana le quantità non dovrebbero essere molto diverse. Se la "responsabilità per il Creato" fosse celebrata non solo nelle messe del primo settembre ("Giornata del Creato"), ma anche dagli amministratori dell'enorme apparato della Chiesa, lo "spostamento" di un miliardo d'euro da merci e tecnologie tradizionali verso merci e tecnologie a minor impatto ambientale e sociale avrebbe un effetto catalizzante per una trasformazione ecologica dell'economia. Pensate ai trasporti: una flotta di decine di migliaia di veicoli, migliaia di essi comperati ogni anno. Questa flotta potrebbe essere gradualmente rinnovata solo con i veicoli a più basso impatto ambientale, magari comprati con gare d'appalto basate su criteri ecologici. Lo fanno già molte amministrazioni pubbliche (Gpp – Green Public Procurement, *). Perché non può farlo la Chiesa? "Lasciatevi tutto alle spalle" consigliava la reclame di un'auto sportiva dagli alti consumi su un'intera pagina di Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani. Ma sono passati dieci anni. È ora di lasciarsi alle spalle anche certe reclame.
* http://www.dsa.minambiente.it/gpp/file/PAN%20GPP%20definitivo%2021_12_2007.pdf |