L'età di "Little Italy" avanza

«Ormai gli italiani non tornano più al Paese: qui hanno i loro figli, i figli si sono sposati e poi sono nati i nipoti. E quale nonno vuole abbandonare i propri nipoti?». A parlare così è Michele Trupia, presidente del Circolo ricreativo culturale siciliano di Basilea molto attento alla vita degli immigrati e alle loro preoccupazioni. «Le statistiche parlano chiaro: l'80 per cento degli italiani, raggiunta l'età della pensione, preferisce rimanere in Svizzera. C'è anche chi ha provato a tornare al sud ma dopo cinque o sei anni lo abbiamo rivisto qui a Basilea. Laggiù si sentivano soli, non avevano nessuno con cui spartire i ricordi e dividere le giornate. Nemmeno i parenti avevano più: alcuni sono morti, altri partiti e mai più tornati», racconta Michele Trupia che aggiunge: "Dopo aver passato una vita in Svizzera è difficile "sentirsi a casa" in Italia…». Tuttavia, quando non si è più autosufficienti, quando non si è più liberi di scegliere come occupare le giornate, con chi dividere le chiacchierate e che cosa mettersi nel piatto diventa difficile anche restare in Svizzera. Un vero dilemma: «Un emigrato che ha vissuto tutta la vita con le proprie abitudini,  diverse da quelle degli svizzeri, perché dovrebbe abbandonarle proprio negli ultimi anni della propria vita entrando in una casa di cura?», si è chiesto il signor Trupia che è così diventato promotore di un centro per anziani emigrati a Basilea. «Sono anni che tra le varie associazioni di immigrati se ne discute. Finalmente ora siamo riusciti a dare vita a un piccolo angolo, legato all'ospedale cantonale, in cui 12 persone "latine" possono soggiornare, avere personale di cura che parla italiano e nutrirsi di cibo "del sud". Attualmente abbiamo 10 italiani e 2 ticinesi. Molte persone sentono l'esigenza di un centro simile, ma non sanno nemmeno che già esiste. Dobbiamo migliorare l'informazione e così provare alle autorità, che sono già ben disposte nei nostri confronti, che esiste davvero l'esigenza di avere un'offerta maggiore», racconta Trupia che con le varie associazioni migranti ha svolto un censimento sul territorio basilese che ha permesso di rilevare che tra cinque o sei anni si avrà una notevole presenza di immigrati "latini" che raggiungeranno i 75-80 anni: «l'età media in cui le persone vanno in una casa anziani. Tra cinque o dieci anni vivremo il boom: è dunque ora il momento per attivarsi e realizzare una vera offerta per migranti latini. Unendoci con spagnoli e portoghesi potremo costruire qualche cosa di buono», conclude Trupia.
A Zurigo in questa direzione ci si è già incamminati da diversi anni e i risultati sono soddisfacenti. Per saperne di più area si è recata a Zurigo, in centro della città, alla casa di cura Erlenhof che ormai da cinque anni dispone di un reparto mediterraneo aperto ad anziani provenienti dall'Italia, dalla Spagna, dal Portogallo, da alcuni paesi dell'America latina e ovviamente dal Canton Ticino.

Lagerstrasse 119, a poche centinaia di metri dalla stazione centrale, nel cuore della cosiddetta "zona rossa" di Zurigo, il quartiere della prostituzione e della droga. Ma anche il fulcro dell' immigrazione italiana degli anni '50 e '60: "little Italy" era qui. Ed è qui che oggi la casa di cura per anziani Erlenhof ha aperto un piano al mondo mediterraneo per accogliere immigrati "latini". «Venti posti letto, tutti occupati e con una lunga, lunghissima lista d'attesa che non è certo destinata a scomparire o perlomeno non nei prossimi dieci anni, fintanto che ci saranno ancora immigrati di prima generazione. Per i secondos non serviremo più. Loro sono nati qui. La lingua e la cultura locale le hanno conosciute dalla nascita…», afferma Caterina Scuderi, responsabile del piano mediterraneo che incontriamo nella sala da pranzo principale della casa di cura proprio nel momento in cui dalla cucina inizia a farsi sentire il tipico odore dei crauti. Un profumo che, a mò di trappola, riesce ad attirare in sala da pranzo gli ospiti "svizzeri" della casa. Uno dopo l'altro, piano piano si accomodano ai tavolini. Da soli. Al massimo sono in due a dividere un tavolino. «Vede? Si nota che siamo al piano "svizzero", solo qui è richiesta questa solitudine durante i pasti. Quando verrà di sopra noterà la differenza…», aggiunge la signora Scuderi responsabile del reparto sin dalla sua creazione. Un reparto nato quasi per gioco dopo che era stata ventilata – e poi abbandonata – l'idea di aprire un reparto per i tossicodipendenti del quartiere. Perché non apriamo un centro per la cura degli anziani immigrati? Aveva chiesto uno dei dottori del centro Erlenhof, in cui già soggiornavano ospiti ticinesi e italiani. «Senza troppo riflettere, ci siamo lanciati in questa avventura. In fondo i cambiamenti da apportare non erano moltissimi e nella casa di cura già impiegavamo personale "latino". I costi da assumere non erano dunque elevati… E così si tentò», racconta la signora Scuderi che ricorda ancora sorridendo quando il primo giorno di apertura del piano andò dritta dalla direttrice, disperata annunciando di non poter continuare l'esperienza. «Perché? mi chiese la direttrice angosciata. Senza una macchina per il caffè espresso non si può avere un piano mediterraneo…».
Mentre saliamo al secondo piano, la signora Scuderi racconta anche di una quasi rivoluzione serale, avvenuta agli inizi dell'avventura: «Una sera la cucina preparò lo stesso menù previsto al piano svizzero: "caffè-complet". Le lascio immaginare l'orrore sul volto degli italiani, abituati a tutto fuorché a questa tipica cena svizzero-tedesca. Per sapere certe cose non basta saper parlare la lingua degli ospiti, per questo occorre avere nelle vene almeno un po' di sangue mediterraneo. Io stessa sono figlia di immigrati italiani, uno siciliano, l'altra calabrese. Certe finezze, certe sfumature culturali non s'improvvisano», spiega la responsabile. «Qualche mese fa arrivò un signore siciliano, uno di quegli omoni abituato a comandare, a controllare le donne della famiglia. Ho sentito subito che voleva arrivare allo scontro con me. Io, una donna, al potere? Inammissibile per lui. Così ho deciso di affrontarlo subito: gli ho chiesto di aiutarmi nella gestione del piano, nel controllo degli altri ospiti. Si è sentito di nuovo importante. E da allora siamo andati d'accordissimo».
A chi chiede se i suoi ospiti non siano il frutto di una cattiva integrazione la signora Scuderi risponde con sicurezza: «Questi italiani sono quelli arrivati negli anni '50 e '60 accolti a braccia aperte dagli svizzeri che vedevano con simpatia la lingua e la cultura italiana. Molti immigrati hanno imparato il tedesco, alcuni anche lo svizzero tedesco; altri invece hanno vissuto in un ambiente totalmente italofono, pensi ad esempio alle donne che non avevano un'attività lavorativa e restavano a casa tutto il giorno. Tutti, con la vecchiaia, entrano in quella fase di regressione. Si dimenticano molte cose, si ritorna all'infanzia e dunque alla lingua parlata in quella fase della vita… il tedesco scompare o stenta. Poter parlare la propria lingua madre ed essere capiti per un anziano è poter continuare a vivere. Prima gli anziani che non riuscivano più a capire gli assistenti di cura e a comunicare con loro, passavano le loro giornate senza mangiare, sdraiati nel letto, apatici. Alcuni diventavano impazienti e molto aggressivi. Così, per calmarli, venivano riempiti di medicinali che li "intontivano"… Questo è ormai solo parte del passato: di calmanti non ne diamo più e i pazienti stanno molto meglio».
Uscendo dall'ascensore ci scontriamo con il carrello della cucina su cui troneggiano numerose tazze di espresso. A guidarlo un giovane proveniente dal Brasile. Con lui altri quattro  assistenti di cura provenienti dalla Spagna, dal Portogallo e dall'Italia. Sono tutti secondos. Sono tutti giovani. Poco oltre, seduti a tre grandi tavoli, il folto gruppo di ospiti canuti sorseggia il caffè. «Buongiorno Signora Scuderi», dicono alcuni.
Alle loro spalle delle maschere di carnevale «L'ho fatta io questa qui. Per farla ci siamo messi la pasta sulla faccia... C'è anche quella della Signora Scuderi», spiega una signora. «La signora è giornalista. Viene dal Ticino», spiega la responsabile. «Anca mi sum ticines. Mi süm da Ciass», dice un signore. «Anche la signora laggiù è ticinese», dice qualcuno. «Sono di Muralto. E lei? Di Lugano? Oh! Che bello. Andrei subito in Ticino: ma non so volare!», dice la signora. «Mi porta lei? Che brava che è! Il Ticino è bello. Ma non quando piove. Quando piove ci sono dei temporali che mi fanno paura…». Cosa fa a Zurigo signora? «Oh, mia sorella era già qui, allora sono venuta anche io. Quando ero giovane, tanto tempo fa. Poi ho fatto la sarta. Ma adesso sono troppo vecchia». «Vorrei tornare a Muralto, ma da sola non posso più. E poi ho i figli qui. Un figlio e due figlie» racconta. E dopo un attimo di riflessione aggiunge. «Sa che sulla carta è proprio una buona idea la sua. Ma non penso che mi lasciano partire…», aggiunge la signora che se la ride di gusto. Accanto a lei una signora di Trieste al centro solo per qualche giorno «Sono qui per farmi delle iniezioni poi torno a casa. Ho ancora il marito e i figli. Fin che posso sto con loro». Da una stanza adiacente provengono le grida di un'altra signora: «Sono asciutta! È passata la mezz'ora». La signora è sotto il casco asciugacapelli: la s'intravede dalla porta lasciata volutamente aperta. «Quello è il "beauty": una volta alla settimana le signore passano da lì, per farsi belle. Si fanno lavare i capelli, si rifanno la tinta. Poi c'è una grande vasca per farsi bagni caldi. E chi lo gradisce può farsi fare un massaggio», spiega un'assistente di cura.
Intanto, malgrado il baccano, una signora si assopisce sulla sedia. «Fino a pochi mesi fa lei cantava sempre "O sole mio". La cantava senza sosta per intero. Poi l'Alzheimer l'ha colpita e ora non si ricorda più le parole del testo. Non canta più», racconta con rassegnazione un'altra signora della Repubblica di Santo Domingo ricoverata dopo aver      subìto un'operazione al cuore «Io ho abitato a Bellinzona e lavoravo a Lugano. Mio marito è ticinese. Poi ho iniziato a lavorare per le ferrovie e così ci siamo trasferiti a Zurigo», racconta.
Nella tavolata accanto aleggia una parlata chiaramente del sud. I ticinesi sono all'altro tavolo. «Signorina, io sono siciliano», butta lì tutto fiero un signore «prima abitavo a casa mia. Poi il padrone mi ha sbattuto fuori per rimodernare la casa e alla fine mi sono ritrovato qui. Ora sto benone». E mangiate bene? «Sì, abbastanza. L'altra sera hanno fatto la pizza ma era una schifezza», risponde una signora di origini vicentine. «Eh, la pizza con la pummarola come la faccio io non la fa nessuno. L'ho detto anche ai miei figli: io v'ho insegnato come la si prepara. Ora però vi attaccate al tram», racconta ridendo una signora arzilla con quel gesticolare tipico di chi è italiano. «Sono di Avellino io. Precisamente di Bellizzi Irpino. Lì c'abbiamo una villa, grande...». E qui, si trova comunque bene? «Vede questi qui a questo tavolo siamo una bella compagnia: ci troviamo bene noi. Ci divertiamo. Siamo sempre insieme». «Però a Pasqua vado dai miei figli. E facciamo i dolci tipici nostri...».
«La vede quella porta?» mi chiede la Signora Scuderi «il signore che è in quella stanza è uno zurighese. È arrivato qui quattro anni e mezzo fa visto che al piano inferiore erano al completo. Sarebbe dovuto restare un paio di settimane e invece è ancora qui. Perché devo partire? Io qui sto bene, ci aveva detto. Lui si crede all'hôtel, perennemente in vacanza in Italia. Pensi che oggi capisce tutto quello che gli si dice in italiano...».
La giornata fuori è meravigliosa: il cielo è blu e il sole splende. Malgrado ciò vi  è solo una signora che può permettersi di uscire a passeggiare, gli altri ospiti non ce la fanno più. «Però quando fa caldo andiamo laggiù. Vede, questo è il nostro giardino. Mangiamo anche lì: quello è il "nostro" tavolo», racconta un signore, e per "nostro" intende quello degli "italofoni". «E a proposito di giardino m'o vado giù a  fuma' 'na sigaretta. Di sopra è proibito. Arrivederci. Adios», dice congedandoci la signora di Avellino.

Pubblicato il

01.02.2008 01:30
Fabia Bottani