L’esercito, porto sicuro per molti americani

Jessica Lynch è l’acclamata eroina americana della guerra in Iraq. È una ragazza di 19 anni esile e allegra, come ce ne sono tante in giro per l’America. Ha scelto di arruolarsi per ragioni molto chiare: vuole girare il mondo, ma soprattutto ricevere una formazione professionale per non cadere nel girone del salario minimo americano. Per molti americani, uomini o donne che siano, l’esercito è un porto sicuro. Non è la paga ad attirare i giovani. Un soldato al primo anno di servizio riceve poco più di 15 mila dollari (circa 21 mila franchi). Bisogna essere un generale con 26 anni di servizio per ricevere 154 mila dollari all’anno. Sono tanti rispetto alla media americana, ma pochi se comparati a quello che prendono i manager in civile. Sono altre le ragioni che convincono i giovani ad indossare le divise militari. Alcuni entrano nell’esercito per scappare alla violenza che regna in certi quartieri delle metropoli cittadine. «Credo di avere meno da temere come marine nelle strade di Baghdad che in quelle di Chicago», affermava recentemente Jonathan Lewis, un giovane cresciuto nella metropoli americana. Altri lo fanno per spirito d’avventura, perché solo così potranno girare il mondo o perché è una tradizione di famiglia. Jessica, che non si era mai allontanata molto da casa, in poco più di un anno di esercito ha visto la Virginia, la Sud Carolina e il Texas. Adesso l’avevano mandata in Iraq e al rientro molto probabilmente sarebbe andata nelle Hawaii. Ma la motivazione più forte è la speranza di ricevere quella formazione che la famiglia non è in grado di pagare. I più fortunati potranno andare gratuitamente al college, vale a dire all’università. Ciò significa che una volta lasciato l’esercito potranno aspirare a professioni ben pagate. Jessica voleva diventare maestra d’asilo nel suo piccolo villaggio della West Virginia. Il padre camionista non è in grado di aiutarla a realizzare il suo sogno. Così Jessica ha seguito le orme del fratello (è nell’aviazione militare) e si è arruolata volontariamente nell’esercito. Anche la sorella minore che ha solo 16 anni ha deciso di fare la stessa scelta. Dal 1973 in America non c’è più l’obbligo della leva e l’esercito, che conta attualmente circa 1,4 milioni di persone, è costituito esclusivamente da volontari. Un fatto che fa discutere, soprattutto da quanto il presidente George Bush ha dichiarato la guerra al terrorismo che è destinata a perdurare nel tempo. Alcuni mesi fa Charles Rangel, deputato americano democratico di colore che aspira a diventare presidente degli Stati Uniti, ha fatto una proposta di legge per reintrodurre la leva obbligatoria. Ha poche speranze di venire ascoltato, ma la sua proposta ha fatto ugualmente discutere e soprattutto ha permesso di mostrare al grande pubblico come si sta trasformando l’esercito americano: praticamente rischia di diventare una casta. Da quando è finita la guerra del Vietnam molte cose sono cambiate. I figli della borghesia non aspirano più a far parte dell’esercito, che è composto sempre più da giovani che provengono da famiglie con redditi medio-bassi. Solo una minoranza dei soldati al fronte hanno in tasca un diploma universitario. All’università di Harvard, una tra le più prestigiose del paese, c’è una lapide dedicata agli studenti dell'ateneo morti in guerra. Si scopre così che 200 studenti sono morti nella guerra civile, 697 durante la seconda guerra mondiale e solo 22 in Vietnam. Si arruolano soprattutto i giovani degli stati del sud. Sono ragazzi che vivono in zone depresse, dove il tasso di disoccupazione è superiore alla media nazionale e dove le possibilità di ottenere un lavoro interessante e ben remunerato sono scarse. I soldati tendono ad essere sempre meno giovani (la maggior parte ha più di 25 anni) e spesso hanno famiglie a carico, mentre durante la guerra del Vietnam quasi tutti erano giovanissimi e celibi. A causa anche delle loro origini sociali quando lasciano l’esercito queste persone non tendono come in passato ad impegnarsi in politica. Già adesso in parlamento si sta notando, elezione dopo elezione, un calo di senatori o deputati con esperienze di guerra. Solo pochi parlamentari che appoggiano la guerra hanno figli al fronte, un fatto di cui la stampa praticamente non parla. Ad essere in asia in queste settimane non sono le mogli dei parlamentari, ma persone semplici come le commesse della Wal-Markt. La grande catena di supermercati americana, nota per la sua politica antisindacale e per le paghe basse, dà lavoro a molte familiari di soldati al fronte. Soprattuttutto nei supermercati situati nei pressi delle basi militari non c’è commessa che non conosca qualcuno al fronte. Nell’esercito è risaputo che le minoranze (neri, ispanici e asiatici) sono percentualmente di più rispetto al gruppo etnico di cui fanno parte. I bianchi comunque hanno saldamente in mano le leve del comando. L’81 per cento degli ufficiali sono bianchi, contro l’8,9 per cento dei neri che sono il 22,4 per cento degli arruolati. Da notare comunque che i neri sono meno numerosi nelle zone di combattimento perché lavorano di più negli uffici e nelle retrovie. Le operazioni di combattimento sono affidate soprattutto a bianchi e hispanic, ma gli ispanici fanno parte soprattutto del corpo di infanteria. «Non vedrete latinos guidare aerei sui cieli dell’Iraq» affermava recentemente un veterano di guerra hispanico. La novità di questa guerra è comunque rappresentata dalle donne. Sono ormai oltre 200 mila ad indossare la divisa militare. Non sono più solo infermiere. Hanno anche compiti di responsabilità e sono presenti anche nelle zone dove si combatte. Nel primo gruppo di prigionieri americani catturati dagli iracheni c’era una ragazza di colore. Jessica pensava di non rischiare molto perché era addetta ai rifornimenti, ma le cose sono andate in ben altro modo e adesso si sta rimettendo da brutte ferite in un ospedale in Germania. Ad arruolarsi sono soprattutto le donne di colore (46 per cento), molte hanno figli a carico. Anche loro provengono soprattutto dalle classi meno abbienti. La forte presenza femminile al fronte sta già eccitando i produttori cinematografici, che vogliono raccontare storie come quelle di Jessica destinate ad alimentare quel clima di propaganda di cui gli americani stanno facendo da settimane indigestione.

Pubblicato il

11.04.2003 04:00
Anna Luisa Ferro Mäder
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