L’esercito ora non li vuole più

«So sparare con il fucile d’assalto, con la mitraglia, col cannone e anche con la pistola, ma non sono capace di riparare le auto del giorno d’oggi. Ora è tutta elettronica. Al di fuori di qui non mi vuole più nessuno. Sono arrivato al limite dei nervi», così Giorgio Rizzi esprime la sua rabbia mentre è alle prese con un veicolo che non è più in grado di riparare. Nel settembre scorso l’esercito gli ha comunicato che il suo posto di lavoro – insieme a molti altri – verrà soppresso. Giorgio Rizzi ha fatto l’apprendistato in un garage di Airolo. Dopo la scuola reclute, il soldato semplice Rizzi ha chiesto di poter far parte dell’esercito svizzero. Dal 1964 – ma ancora per poco tempo – fa il meccanico d’opera in alta Leventina per conto del Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (Ddps). Come lui in questi mesi parecchie persone hanno avuto dei “colloqui di separazione”. L’armata svizzera si ridimensiona, non è una novità: «sentivamo i cordoni stringersi già con esercito 95 – dice il meccanico 56 enne –, ma ci avevano promesso che non ci sarebbero stati licenziamenti. Poi con esercito XXI si è chiaramente parlato di riduzione del personale ma per il 2011, quando parecchi di noi sarebbero già andati in pensione. Poi le cose sono precipitate all’improvviso. Ed ora eccoci qua fra Job Center e mille tribolazioni». Dal punto di vista occupazionale il Ddps intende infatti ridurre i posti di lavoro nel settore della difesa nel solo Ticino da 575 a 435 entro il 2010 (meno 25 per cento). La regione che pagherà il prezzo più alto è la Tre Valli. Ogni martedì ad Airolo i lavoratori in “via di separazione” si ritrovano nel “Job Center” nella zona caserme di Bedrina. «Seguono una formazione di “newplacement”», ci spiega il responsabile Mathias Bläsi che lavora per conto della Covariation Ag che ha il mandato da parte della Confederazione di gestire i vari Job Center per militari. Dopo una prima formazione intensiva di 2 giorni a settimana in cui hanno seguito le tappe della «presentation, dello spot, del networking e del Par (realizzazioni personali)», ora i due gruppi della sicurezza e della logistica dell’esercito sono impegnati a cercare lavoro sul terreno e sul computer. «Purtroppo è vero che c’è molto malumore e rabbia fra di loro. L’ambiente è pesante – ammette Bläsi in una pausa di lavoro –. Li capisco: da un punto di vista professionale è difficile piazzarli nel privato. Alcuni di loro hanno una certa età, non hanno avuto una riqualifica e non sono aggiornati professionalmente. Non è facile per loro». «Devo guardare nel computer e cercare lavoro – ci dice uno di loro –, all’inizio non sapevo neanche da che parte accendere questa macchina, per fortuna che c’era un “soci” ad aiutarmi». Giorgio Rizzi ci spiega che il suo lavoro di tutti i giorni era quello dell’officina: «riparare i furgoni verdi Vw dell’esercito, cale neve, jeep militari, cambiare gomme, ecc.», ma doveva anche tenersi al passo con l’addestramento militare, con la formazione sulle armi e altro. «Purtroppo mi rendo conto solo ora che so riparare a fondo unicamente i veicoli di 40 anni fa – aggiunge Rizzi –, aggiornamenti per stare al passo con l’evoluzione dell’auto non ne ho fatti. Ma il lavoro non mancava e non manca, di cose da fare come meccanico dell’esercito ne ho sempre. Non sono però capace di riparare le auto moderne, ora usano i tester elettronici. I garage privati non mi assumono e di sicuro non al mio stipendio attuale. Sa, uno ha figli, si è fatto una casa, dei progetti…». Da 6 mila franchi lordi mensili Rizzi prenderebbe al massimo 4 mila 500 franchi in un garage privato. Una situazione comune anche agli altri colleghi del Job Center: nessuna prospettiva nel privato, militari professionisti ma non più professionisti aggiornati. Ma possibile che nessuno di loro si sia reso conto che non andava avanti nel mestiere che aveva imparato? «Sì – dice Rizzi –, ma cosa ci potevo fare? Il mio era considerato un lavoro sicuro. Entrare nell’esercito era una garanzia ai miei tempi. E non è che ho dormito, di lavoro ne avevo da fare e ne ho sempre molto. Sono però rimasto indietro, devo pagarla in questo modo per una colpa che non è solo mia?». Questa e altre domande le abbiamo girate nell’intervista sotto al comandante del battaglione Infra Bat III Urs Caduff. Presto un centro di sostegno Nei giorni in cui questo reportage è stato realizzato il Dipartimento federale della difesa (Ddps), della protezione della popolazione e dello sport ha fatto sapere in una nota stampa che verranno liberati 10 milioni di franchi per creare un centro di sostegno per i collaboratori del Ddps particolarmente svantaggiati dal piano di riduzione del personale. Per coloro che hanno più di 55 anni e una carriera alle spalle di almeno 20 anni non ci sarà licenziamento. Il piano sociale prevede l’impiego «in tutta la Svizzera e per semplici lavori di liquidazione di materiale militare» in attesa che i collaboratori possano beneficiare della pensione anticipata. Una buona notizia. Ma il problema di coloro che sono entrati nell’esercito e che sono rimasti indietro nella loro professione resta. Come si può del resto intuire dall’intervista nell’articolo sotto, la riduzione del personale continuerà e il problema si ripercuoterà su coloro che non potranno essere impiegati al centro di sostegno: perché troppo giovani per l’esercito ma troppo anziani e non qualificati per l’attuale mercato del lavoro. “Non è solo colpa nostra” Comandante Urs Caduff, per un giovane che ha fatto l’apprendistato di meccanico, idraulico o elettricista, ecc. è interessante svolgere la professione appresa all’interno dell’esercito? Penso di sì. Aggiungo però subito che dipende molto anche dalla mentalità che si ha, da quali sono le proprie ambizioni e prospettive. L’esercito non è più quello di una volta, se ne sono accorti tutti. Anche qui si è cominciato a parlare di flessibilità, è così e non ci si può fare nulla. Oggi come oggi ci sono ancora delle buone possibilità per chi vuole lavorare nell’esercito, si deve solo entrare con una nuova testa. Per lavorare nell’esercito come meccanico d’auto bisogna essere un buon soldato o un buon professionista? Tutti e due. Ma la priorità, a mio parere, deve andare alla capacità di fare il lavoro per il quale si è assunti. Solo in seguito si può puntare anche ad avere un buon soldato. L’esercito ha bisogno sia di soldati di professione che di professionisti. I nuovi reclutamenti dovranno tenere conto di queste esigenze. Un apprendista che entra nell’esercito ha la possibilità di aggiornarsi professionalmente, oltre che di imparare ad usare le armi nei corsi di ripetizione che deve svolgere? Sì, ci sono sempre state queste possibilità e nel futuro ce ne saranno ancora di più. Ma allora come è possibile che sia i responsabili del Job Center che coloro che lo frequentano dicono che il più grande problema di chi deve trovare un posto al di fuori dell’esercito è quello di essere rimasto indietro nella propria professione? Nel privato non li vuole più nessuno perché non sanno riparare ad esempio le automobili moderne… È vero, ci sono questi problemi. Non si possono nascondere. Ma ci sono delle distinzioni da fare. Ad esempio tutti gli elettricisti e gli idraulici sono sempre stati aggiornati, questo anche perché le infrastrutture sono state ammodernate. L’esercito organizza corsi di aggiornamento centralizzati. D’altro canto però è vero che ci sono stati dei problemi nelle regioni periferiche. Queste persone hanno fatto spesso sempre il solito lavoro, piccole riparazioni. Ad esempio ad Airolo con le varie scuole reclute c’è sempre bisogno di qualcuno che possa cambiare le gomme di un veicolo, controllare l’olio e altri piccoli interventi. Per lavori più grossi si va all’officina specializzata del Monte Ceneri dove devono per forza essere capaci di fare di tutto, perché anche i veicoli militari devono essere collaudati. Ma essere aggiornati nel proprio mestiere dipende anche dalla volontà del singolo… Lei pensa che l’esercito abbia delle colpe nei confronti di coloro che sono rimasti al palo col proprio mestiere? Un meccanico che sa cambiare solo gomme o riparare unicamente i furgoni militari Vw non verrà mai assunto in un garage privato. Ora il Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport li vuole mandare via… Non penso che la colpa sia da cercare in una sola delle parti. Guardi, purtroppo la situazione è quella che è. Le faccio il mio esempio personale: l’anno scorso mi hanno fatto sapere che da 178 posti fra Ticino, Uri e Grigioni sarei dovuto scendere a 85 perché questo è l’effettivo che volevano avere nell’organigramma. Da allora ho fatto molti colloqui di separazione, parecchi dei miei uomini sono riuscito a piazzarli in altri settori dell’esercito. Per alcuni invece non sono riuscito a risolvere la situazione anche se ora si è aperto uno spiraglio di speranza (vedi riquadrato sopra, ndr). Sono persone che conosco da una vita, guardarle in faccia e dire loro come stanno le cose è stato emotivamente molto duro per me. Però devo anche aggiungere che alcuni di loro non ne hanno voluto sapere di seguire corsi per aggiornarsi o cambiare mestiere. Ci è stato dato un po’ di tempo prima di dover fare dei licenziamenti veri e propri e alcune persone non hanno voluto sfruttare questo tempo per imparare cose nuove o riqualificarsi. E io non posso obbligarli se non hanno più voglia di fare... Lo so che può essere difficile accettare la situazione, ma il lavoro non è più sicuro neppure all’interno dell’esercito. Questo va capito specialmente dalle nuove leve. Insomma c’è chi è entrato nell’esercito e si è adagiato… Purtroppo è così. Come farete a far cambiare la mentalità nel vostro ambiente? Sono gli eventi che ci costringono. Abbiamo bisogno di un nuovo tipo di soldato e di un nuovo tipo di professionista. Magari un domani ci verrà detto che non ha più senso avere un’artiglieria. Cosa faremo allora? Sono cose da mettere in conto, e nel limite del possibile bisogna restare sempre aggiornati per non perdere quello che si è costruito in anni di lavoro. Quanti posti di lavoro dovrà ancora cancellare all’interno del suo battaglione infra bat III? Ho ancora 13 colloqui di separazione da fare: devo arrivare ai famosi 85 posti di cui le ho parlato prima. Ci saranno altre persone che frequenteranno il Job Center. Attualmente la mia priorità è risolvere la situazione per coloro che riceveranno a giugno la disdetta del contratto di lavoro per fine anno. Il tempo stringe, bisogna trovare delle soluzioni per loro.

Pubblicato il

29.04.2005 01:00
Can Tutumlu