Affari nostri

Ci sono tante ragioni per cui, nonostante i progressi impressionanti delle tecnologie digitali, si è sempre stentato ad applicarle alle informazioni relative allo stato di salute di una persona. Non per caso, il “dossier digitale del paziente” è un fantasma che da anni si aggira per i corridoi di Palazzo federale.

 

C’è che sul tema si stenta a trovare la quadratura magica con il mondo di Internet. In particolare, è complicato garantire la sicurezza dei dati e per definizione, data la localizzazione decentrata, restano sul tavolo una miriade di domande. Da “dove finiranno i miei dati”, a “chi avrà accesso alle informazioni” all’essenziale “e se poi li voglio cancellare, sarà davvero possibile?”. Passando per il ruolo che necessariamente giocano nella partita i colossi di Big Tech, notoriamente inclini alla monetizzazione dei dati e non esattamente attivisti della privacy.

 

L’attuale crisi sta accelerando all’inverosimile il processo di digitalizzazione di informazioni relative alla salute di miliardi di esseri umani e, per una volta, non è un’iperbole giornalistica. Si è cominciato con le App di tracciamento dei contatti. Ci è stato detto per mesi che erano fondamentali per uscire vittoriosi dall’epidemia del nuovo coronavirus. Ricorderete che la nostrana SwissCovid è stata protagonista di migliaia di articoli e servizi televisivi. A un certo punto, si suggeriva che non se non l’avessi installata, saresti stato un “cattivo cittadino”.

 

C’è un che di romantico nella vicenda (stiamo parlando di appena un anno fa e sembrano dieci), perché eravamo ancora in un’epoca in cui quel genere di accuse veniva sussurrato. Niente a che vedere, insomma, con il clima strillato del 2021, dove finiscono amicizie sull’altare della domanda “Ti sei vaccinato?”. Mi occupo di medicina e politiche sanitarie da quasi vent’anni e nessuno riuscirà a togliermi la perplessità sulla rivoluzione socio-antropologica cui stiamo assistendo. Hai fatto il pap test? E l’esame anale per il tumore alla prostata? Come sono andati i tuoi recenti esami del sangue? Questo genere di domande è da sempre considerato fatto privato. Ora le questioni relative alla tua privatissima salute – sintomi, esami, farmaci, vaccini – sono diventate affare pubblico. Se ne parla al bar e puoi aspettarti che una persona che conosci a malapena lanci il dibattito. O tempora, o mores.

 

Tornando a SwissCovid, vi siete accorti che non se ne parla più? Solo per le tappe iniziali, nel 2020, ci è costata undici milioni di franchi. A fine giugno 2021 secondo l’Ufsp gli utenti attivi erano un milione settecentocinquantamila. Utilità? Non pervenuta. Prima che la vicenda precipiti nell’archeologia, vale la pena leggere l’analisi critica di due cervelloni che sono di casa a Elvezia e che di questi ambiti si intendono. Ne hanno scritto in tempi non sospetti e le loro analisi restano dolorosamente attuali. Buona lettura con il crittografo Serge Vaudenay e con il matematico Paul-Olivier Dehaye.

 

E se sarà ai posteri l’ardua sentenza, di certo una curiosa notizia bernese di fine estate è quella delle dimissioni di Sang-Il Kim, capo delle questioni digitali per l’Ufficio federale per la salute pubblica. Era arrivato ad aprile 2020 ed era diventato il volto della digitalizzazione della salute alle conferenze stampa pandemiche. Visto che con il Covid-Pass c’è davvero molto da fare in questo delicatissimo settore, aspettiamo fiduciosi che venga rimpiazzato. 

Pubblicato il 

09.09.21

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