Lavoro & Sicurezza

Otto gennaio 2021, un operaio è deceduto al lavoro. È il primo incidente fatale sul lavoro di quest'anno, che va ad aggiungersi alla triste lunga lista degli ultimi anni. Aveva 54 anni e stava lavorando nel cantiere dell'ex Hotel du Lac di Paradiso. In vista della demolizione dello stabile, l'operaio stava svuotando al piano terra il materiale sgomberato ai piani superiori da altri operai attraverso il vano ascensore. È notizia di ieri (Rsi), che un secondo operaio è indagato per quei fatti.

 

Vi è da chiedersi perché due squadre di operai stessero lavorando contemporaneamente, con una squadra sopra a buttar materiale mentre l'altra era sotto a raccoglierlo. Che vi fosse una certa fretta in quel cantiere appare molto probabile, dato che quasi tutti i cantieri dell'impresa per cui l’operaio deceduto lavorava, erano chiusi per le ferie natalizie fino a lunedì 11 gennaio.

 

Leggi anche=> L'inaccettabile morte al lavoro

 

L'auspicio è che l'inchiesta faccia luce anche su questi aspetti, individuando le eventuali responsabilità di chi avrebbe potuto esigere la fretta, mettendo in pericolo la vita degli operai. Troppo spesso, la magistratura si ferma a indicare le responsabilità dei lavoratori o del capocantiere, senza mai approfondire altre cause che hanno portato al fatale infortunio.

 

«Se sono andato sino in fondo, non è stato per il gusto di vincere o per una sorta di accanimento giudiziario. Negli incidenti sul lavoro è sempre il più debole che paga il prezzo più alto, e la responsabilità dell’applicazione e del controllo delle misure di sicurezza viene scaricata con troppa facilità sugli operai». Una riflessione scritta da un magistrato ticinese d’altri tempi e di notevole statura etica, Dick Marty, nel suo libro ‘Una certa idea di Giustizia’ (Edizioni Casagrande), ricordata poco tempo fa da Matteo Caratti in un editoriale su La Regione

 

La riflessione di Marty si riferisce all'epoca in cui da procuratore ticinese negli anni 70-80 era confrontato a incidenti nei cantieri o sui posti di lavoro. Una volontà di andare a fondo, di cercare la verità pur nella sua complessità, che oggi appare una rarità tra gli inquirenti ticinesi.

 

Nella stragrande maggioranza dei casi d’incidenti sul lavoro, la colpa ricade sull’operaio deceduto per una sua negligenza o innoservanza delle norme di sicurezza, sui colleghi per i medesimi motivi o sul capocantiere, legalmente responsabile della sicurezza del cantiere.

 

In tanti, troppi casi, si tratta d’ipocrisia. Raramente ci s’interroga perché il lavoratore o il capocantiere abbia saltato le misure di sicurezza per fare più in fretta. Mal si comprende quale sia il loro beneficio nel trascorrere le nove ore sul cantiere correndo come dei matti ogni santo giorno. Sono altri a trarne beneficio dal correre degli operai, committenti in primis.

In Francia, se un camionista ha superato il tempo massimo consentito alla guida perché istigato dall’impresa o dal cliente che vuole la merce subito, l’autista incorrerà sì in un’infrazione, ma in forma lieve rispetto a quanto ricadrà su impresa o committente.

 

Tornando in Svizzera, da anni il sindacato denuncia i ritmi folli con cui si pretende si lavori nei cantieri. Lo hanno ribadito 12mila edili interpellati dal sindacato Unia lo scorso anno. La crescente pressione dei committenti dei termini di consegna delle opere costituisce per tre quarti dei muratori intervistati una seria minaccia alla sicurezza.

 

Leggi anche=> Edilizia, basta coi tempi folli

 

Il sindacato, nel suo comunicato odierno, ha pure sottolineato quanto la campagna della Suva “Stop in caso di pericolo" (secondo cui in caso di mancato rispetto di una regola vitale il lavoratore ha il diritto e il dovere di sospendere il lavoro e di riprenderlo solo dopo aver eliminato il pericolo) «non trova sufficiente applicazione, perché la paura di venire licenziati prende il sopravvento e induce ad assumere e ad accettare rischiper la propria incolumità in sé inaccettabili». Segue l'amara conclusione del sindacato «I lavoratori sono stanchi di finire sul banco degli imputati e di vedere confusa una presupposta colpevole “negligenza” con un sistema di lavoro che in realtà li obbliga e li spinge in una direzione purtroppo ben precisa».

 

Non esistono morti bianche. Esistono le morti sul lavoro che hanno sempre delle cause e delle responsabilità. «Seguire i soldi» disse uno dei migliori inquirenti al mondo,seppur riferito alla criminalità organizzata. Ciò non toglie che il profitto potrebbe essere una valida causa da indagare per individuare le responsabilità delle morti al lavoro.

Pubblicato il 

14.01.21
Nessun articolo correlato