L'edilizia cantonale ha il paracadute

Una settimana dopo la rottura delle trattative, impresari e sindacati ticinesi hanno firmato un accordo transitorio in attesa di sviluppi sul piano nazionale. Inserita la clausola sulla responsabilità solidale e aumento generalizzato dei salari dell'1 per cento.  

Da venerdì 3 febbraio l'edilizia cantonale ha il paracadute. Le parti contrattuali hanno infatti raggiunto un accordo-ponte in attesa di sviluppi sul piano nazionale. Una buona notizia per tutti gli attori presenti sul territorio. Una buona notizia per le imprese che si vedono salvaguardare il mercato interno dalla concorrenza sleale grazie a regole chiare.
Una buona novella anche per gli operai. I due obiettivi principali da conseguire nell'accordo cantonale indicati dai lavoratori sono stati raggiunti. Il primo è la responsabilità solidale. Rivendicata con forza nel corso dell'anno appena concluso quale strumento contro gli abusi stile cantiere Palace di Lugano, la responsabilità solidale diventa realtà nel contratto-ponte di quest'anno. O meglio, entro il 31 marzo un gruppo di lavoro affiancato da giuristi dovrà elaborarla materialmente. In sintesi, si tratta di una clausola voluta per inchiodare a una maggiore responsabilità le imprese generali che affidano subappalti a ditte che sfruttano illegalmente gli operai. Per inciso, è una norma che la dirigenza nazionale degli impresari rifiuta categoricamente di inserire nel contratto.
Veniamo al secondo obiettivo raggiunto nell'accordo-ponte. Dell'aumento salariale beneficeranno tutti i lavoratori dell'edilizia, e non solo quelli meritevoli agli occhi del titolare, come volevano gli impresari. Solo sette giorni prima, i vertici della Ssic rivendicavano gli aumenti al merito quale principio «non trattabile», costringendo Unia ad abbandonare il tavolo delle trattative.
Va detto che l'importo dell'aumento (1 per cento) probabilmente non compensa interamente lo sforzo sostenuto dagli operai nei ritmi forsennati da boom edilizio. Va anche detto che il contesto generale è pessimo. Da decenni ormai la ricchezza prodotta  con il lavoro finisce sempre più nelle tasche del capitale invece che venir distribuita ai lavoratori. Se negli anni Settanta su 100 di richezza prodotta, capitale e lavoro se la dividevano all'incirca in parti uguali, oggi il capitale ne intasca quasi il 65 per cento (dati dei paesi Ocse). Analizzato sotto questa luce, l'aumento salariale generalizzato nell'edilizia cantonale è in controtendenza. E quindi positivo.
Dopo questa digressione sui massimi sistemi, torniamo all'accordo- ponte nell'edilizia cantonale. Senza l'entrata in materia sulla responsabilità solidale e sull'aumento generalizzato, l'abbandono delle trattative di Unia lasciava intendere che il sindacato fosse pronto a rischiare il vuoto contrattuale e a proseguire la mobilitazione nel solco di quanto fatto nell'anno appena trascorso. «Un percorso sindacale costruito con gli operai nell'arco di un anno e mezzo» racconta Dario Cadenazzi, responsabile edilizia di Unia. «Nell'ottobre del 2010, dopo la prima denuncia pubblica di caporalato in un'impresa sopracenerina, il sindacato fu sbeffeggiato dai vertici Ssic. Qualche mese dopo, la Procura pubblica confermò lo sfruttamento nel caso specifico da noi denunciato». Visto l'iniziale comportamento della Ssic, Unia si autosospese dalla Commissione paritetica, interrompendo di fatto i rapporti coi partner contrattuali. «Avviammo allora un rapporto diretto con la procura, segnalando i casi sospetti di caporalato di cui man mano venivamo a conoscenza». Fino allo scoppio dello scandalo Palace, diventato di pubblico dominio. «Tutto ciò è stato possibile grazie al rapporto molto stretto che abbiamo coi lavoratori, costruito con una presenza assidua sui posti di lavoro. Un rapporto basato sulla fiducia che ci ha spinto a organizzare la manifestazione del 4 luglio». Quella manifestazione fu un grido d'allarme rivolto all'opinione pubblica, alle autorità e ai soggetti coinvolti per avvisare che il settore stava scivolando in una spirale pericolosa di degrado sociale. Una manifestazione condotta dagli edili e Unia in solitaria, perché l'Ocst non aveva dato la sua adesione. Vi parteciparono duemila operai. Poi ci fu la seconda mobilitazione per il contratto, il 2 dicembre, altrettanto ben riuscita. «L'accordo cantonale è frutto di questo percorso» conclude Cadenazzi. E analizzandolo, si ha l'impressione che i rappresentanti sindacali siano riusciti a capitalizzare la forza espressa nelle mobilitazioni precedenti, mentre gli impresari ticinesi hanno lasciato da parte posizioni ideologiche per far spazio a una tutela del mercato interno regolato da norme atte a garantire una concorrenza leale. Un vuoto contrattuale scongiurato anche nel loro interesse. Contenti tutti, quindi? No, perché rimane da sciogliere il nodo del contratto nazionale. «L'auspicio è che i vertici nazionali degli impresari dimostrino la stessa pragmaticità dei loro colleghi cantonali» conclude Cadenazzi.

Pubblicato il

10.02.2012 03:30
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