La formazione continua è uno strumento irrinunciabile per il mondo del lavoro. Lo è per le lavoratrici e i lavoratori per restare aggiornati sui cambiamenti in atto e quindi per proporsi nel mercato del lavoro con credibilità e autorevolezza. Lo è per le aziende per tenersi al passo con i continui e rapidi cambiamenti del mercato, degli strumenti, dei mezzi e dei processi di produzione. La formazione continua ha un costo, un costo spesso molto importante sia per le lavoratrici e i lavoratori, che per le imprese. Sostenere organizzativamente e finanziariamente chi segue o contribuisce a proporre formazione continua è un ottimo investimento per qualsiasi ente pubblico che abbia a cuore il successo della propria economia regionale, anche se, di fronte a precise proposte, spesso la politica fatica un po’ a dar concretezza a questi obiettivi. Ora, se il coinvolgimento dell’economia in una significativa parte della formazione continua è irrinunciabile sia per legge, sia per opportunità, visto che una parte di chi segue una formazione continua lo fa anche per poter rendere spendibile a breve la propria formazione nel mondo del lavoro, ben altro è il discorso di un coinvolgimento attivo dell’economia nella formazione obbligatoria. Purtroppo infatti le associazioni padronali, quando invocano la loro partecipazione attiva nella scuola dell’obbligo, sembra lo facciano proponendo percorsi e approcci a propria immagine e somiglianza, senza la lungimiranza, la capacità e/o la volontà di vedere oltre a quanto loro serve oggi, senza cioè saper mettere in questa richiesta una visione di medio, lungo periodo che sappia andare oltre il qui e ora. In altre parole sembra quasi che l’economia ticinese non sappia leggere quanto sta davvero avvenendo nell’economia stessa, le trasformazioni già in atto in alcuni settori e che ci saranno in modo diffuso a breve termine, né quali siano i radicali cambiamenti che ci aspettano. E non sono sfide da poco quelle che ci troviamo di fronte! Ne cito solo due tra le tante. Una enorme, impossibile da trattare qui, ma che è ormai sulla nostra porta di casa e cioè la fine della globalizzazione come l’abbiamo conosciuta, una fine che proporrà di riportare alcune produzioni oggi svolte altrove sui nostri territori. L’altra, direttamente legata alla scuola, sulle necessità di riformulare i bisogni di formazione professionale per il futuro. Nel merito sono convinta che, coerentemente con quanto precede, chiedere, come mondo economico, di indirizzare già nella scuola media le allieve e gli allievi verso un “percorso professionalizzante” sia davvero anacronistico e miope. Si tratta infatti di una scelta riduttiva e autolesionista perché l’“addestramento” a svolgere una specifica attività non servirà assolutamente più di fronte all’evoluzione dei processi produttivi, mentre diventerà indispensabile poter contare su lavoratrici e lavoratori con vaste, differenziate conoscenze teoriche, nonché competenze operative costruite sulla capacità di analisi, di critica, di reindirizzo autonomo del proprio agire, in altre parole di intelligente, competente e autonoma elasticità. Niente a che vedere con l’addestramento dunque! In tal senso fatico davvero a capire, ma sono soprattutto molto preoccupata per le richieste del mondo del lavoro di poter veder considerate nella scuola obbligatoria i propri bisogni di oggi. Non è davvero di questo che ha bisogno né il mondo della scuola, né quello del lavoro, né la formazione!
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