Spagna

“O le sinistre fanno un fronte ampio o vamos todos a la mierda”. Questo il sintetico pensiero affidato a Twitter da Ada Colau, la sindaca di Barcellona, dopo il voto del 10 novembre. Con una postilla altrettanto lapidaria: “Pedro, le tue elezioni sono state un fallimento”.

Il “fronte amplio”, all’improvviso, forse ci sarà. Ossia quel governo di sinistra fra il Psoe di Pedro Sánchez e Podemos di Pablo Iglesias, ostinatamente escluso dal premier socialista dopo le elezioni del 28 aprile. Impossibile per 6 mesi, possibile in 24-48 ore. Il lunedì 11 Sánchez e Iglesias hanno firmato coram populo un “pre-accordo” in 10 punti (sulla carta assai avanzati) per andare a «un governo progressista di coalizione», senza più linee rosse e veti incrociati, in cui Iglesias sarà vicepremier e Podemos avrà 4 o 5 ministri.


Come è potuto accadere? E qui viene la postilla di Ada Colau. Sánchez ha indetto le elezioni soprattutto con due obiettivi: liberarsi dal giogo dei partiti regional-nazionalisti o – peggio – indipendentisti (catalani e baschi); dare uno scossone a Podemos, corroso da una scellerata scissione interna, per fargli abbassare la cresta e ricordargli che in Spagna a sinistra del Psoe non c’è spazio se non sugli strapuntini.


Il Psoe ha rivinto, ma ha perso 3 deputati e 760.000 voti. Non solo. Il risultato ha sancito la quasi scomparsa di Ciudadanos, l’aggressivo centro-destra (da 57 a 10 seggi), ha consentito la parziale ripresa del Partido Popular (da 66 a 89 seggi), ha confermato la botta a Podemos (da 42 a 35 seggi, 650.000 voti persi) che però resta “una forza decisiva” per un governo alternativo alla destra. Ancor peggio, ha spianato la strada a Vox che, grazie anche all’inestricabile nodo catalano, è passato da zero seggi nel 2016, ai 24 di aprile, ai 52 di adesso. Terza forza politica, fine della eccezione spagnola in Europa, via il centro-destra liberal-liberista e dentro l’estrema destra fascio-franchista. E per di più i nazionalisti, come sempre, hanno tenuto e le Cortes, con 16 partiti presenti, sono più frammentate che mai.


In questa fallimentare vittoria di Sánchez sta forse il coup de théâtre e il  patto con Iglesias. Che in aprile parlava di «opportunità storica», adesso, a ragione, di «necessità storica». L’alternativa, infatti, gridata a gran voce dal padronato, dalla Borsa, dai media mainstream, dai dinosauri resuscitati (Felipe González, Aznar, Rajoy…) è la “Grande Coalizione” Psoe-Pp per scongiurare il “ritorno dei rossi”, il “Fronte Popolare”,  la “coalizione tossica”, il “cocktail Frankenstein”.


Non sarà facile passare dal “pre-accordo” pieno di buone intenzioni all’accordo, né trovare quella ventina di voti che consentano al “governo progressista di coalizione” di vedere la luce nel dibattito alle Cortes del 17-19 dicembre. Ci si arzigogola con i conteggi, le possibili convergenze, le ipotesi. E con ogni probabilità ci vorranno ancora i voti dei regional-nazionalisti o addirittura degli indipendentisti. Che però, dopo le abnormi condanne di ottobre, se li faranno pagare cari.


Se va male sarà un disastro storico per la sinistra. Se va bene sarà un esempio in clamorosa controtendenza per l’Europa e il mondo esterno.

Pubblicato il 

21.11.19
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