Per certi versi, la Svizzera e l'America (del Nord) si assomigliano: paesi ricchi, con un basso tasso di disoccupazione, con un mercato del lavoro flessibile.
Di tanto in tanto riappare quindi la tentazione di guardare Oltre Atlantico per rifondare lo stato sociale, in particolare le politiche contro la povertà, una ferita sempre aperta.
Poiché in Svizzera la cultura del lavoro è altrettanto forte che negli Stati Uniti, la trasformazione, voluta da Clinton nel 1996, del "welfare" (aiuto ai poveri) in "workfare" (aiuto ai poveri che lavorano) tenta un po' tutti. Precisiamo subito una differenza importante fra i due paesi: in America, l'assistenza è riservata alle famiglie con figli (mono o biparentali). Le persone sole o le coppie senza figli, se in età lavorativa e non portatrici di handicap, devono arrangiarsi. Dalla riforma del '96, anche le persone con figli, se chiedono un aiuto che assicuri il minimo vitale, devono lavorare un minimo di ore alla settimana. Hanno un certo periodo e un sostegno per trovare lavoro, l'aiuto finanziario continua poi per un massimo di 60 mesi, dopo di che o si è autosufficienti, o tanto peggio.
I risultati di questo "workfare" sono controversi. Nella seconda metà degli anni '90 la crescita economica e dell'impiego è stata molto forte e ha favorito le politiche di ritorno al lavoro dei poveri senza impiego: dal '96 al 2005 i casi d'assistenza sono scesi del 57 per cento! Il 60 per cento delle madri sole con figli a carico uscite dall'assistenza lo hanno potuto grazie alla ripresa del lavoro, e beneficiano di un reddito superiore a quello di prima. Un reddito da lavoro, però, completato in media da 260 franchi al mese di "imposta negativa" (detta "Earned Income Tax Credit"): si riceve una somma dal fisco, anziché pagarne una. L'emancipazione dall'aiuto pubblico è dunque relativa. Il fatto grave però è un altro: molti beneficiari dell'assistenza sono stati esclusi da ogni aiuto (salvo, in parte, dai "Food Stamps", i buoni alimentari) perché incapaci di ritrovare un lavoro, in quanto "non occupabili" sia per problemi di salute, sia per mancanza di qualifiche ed esperienza, oppure perché il mercato del lavoro ha smesso di "tirare". Per di più, gli impieghi ritrovati sono il più delle volte precari, mal pagati e lontani dal domicilio. Ciò induce l'economista Robert Solow ad una conclusione amara: «Che dire di una politica che introduce al lavoro una parte della popolazione assistita, ma che la conduce ad una situazione peggiore di prima, e dimentica del tutto l'altra parte?».
Attenti, dunque, alle imitazioni facili, e non perdiamo di vista i punti cardinali: nessuno deve essere dimenticato; sosteniamo chi può emanciparsi tramite il lavoro e investiamo a tal fine soprattutto oggi, in fase di ripresa economica; facciamoci guidare dai principi di equità e di efficacia nel promuovere l'autonomia e la dignità dei poveri; non dimentichiamo l'obiettivo di efficienza, ma non riduciamolo alla misura di quanto abbiamo risparmiato.

Pubblicato il 

06.04.07

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