La campagna sulla «soluzione dei termini» è apparsa da subito molto pacata, forse anche un po’ scialba e sottotono, tanto da sembrare finita in partenza con un risultato che poteva essere considerato scontato. In fin dei conti saremo chiamati ad esprimerci solo sull’adeguatezza di un aggiornamento della legge a una prassi già da tempo vigente. Questo pacato confronto nelle ultime settimane ha però lasciato spazio ad un altro tipo di campagna, promossa dai sostenitori dell’iniziativa «per madre e bambino», ben più forte ed incisiva e tutta incentrata su concetti quali coscienza, morale, valori e diritti del «bambino non ancora nato»: un esplicito tentativo di portare la discussione ad un livello prettamente emotivo. Sull’altro fronte si è voluto impostare una campagna pragmatica, senza accentuare mai troppo i toni e spiegando in tutti i modi la sensatezza di ratificare con una modifica di legge quello che già avviene in molti cantoni. Il risultato di tutto ciò, dal mio punto di vista, è l’assenza dal dibattito politico in corso di due argomenti fondamentali: i principî e le donne. Di fronte ad una destra catto-conservatrice che con martellanti invii di opuscoli a tutti i fuochi ci informa che la riforma proposta compromette i diritti del «bambino non ancora nato» – come se la donna fosse solo una «incubatrice temporanea» senza più la facoltà di determinare in piena libertà la propria condizione – credo che si potesse aprire un dibattito molto più approfondito, che partisse dal ruolo e dalle condizioni delle donne in questa società. Lo so, questo approccio facilmente può essere definito vetero-femminista o tardo-sessantottino, ma forse i miei ventisei anni mi permettono di evitare questa critica e quindi mi azzardo a denunciare l’assenza di spessore e di prospettiva di questa campagna. La campagna sulla soluzione dei termini parla intrinsecamente del ruolo della donna in questa società. Parla della condizione delle donne, che potenzialmente possono mettere al mondo una vita, così come possono decidere, in piena libertà, di non portare a termine la gravidanza. Proprio su queste potenzialità e possibilità il movimento delle donne doveva secondo me incentrare il dibattito: il «potere» naturale della donna di generare la vita, di generare l’essere umano, potere che la rende la prima ad essere responsabile e responsabilizzata nella valutazione della propria condizione. Da parte dei sostenitori dell’iniziativa «per madre e bambino» questo potere naturale della donna viene fermamente messo in discussione, contrapponendo ad esso i diritti di un «bambino non ancora nato» il quale, non essendo ancora nato, non avrebbe in realtà nessuna possibilità di svilupparsi e di nascere senza il corpo della donna, ma che comunque viene definito come un essere con diritti superiori alla sua incubatrice temporanea. È chiaro che parlare dei diritti di un bambino non ancora nato è parlare della vita come valore incondizionato; discutere invece dei diritti delle donne, delle loro condizioni e del loro ruolo significa parlare della qualità della vita. Ma in una campagna dove le donne, i loro diritti, la loro politica sono stati messi al margine, forse volutamente, sembra che un discorso del genere possa spostare l’attenzione dal reale argomento in votazione. In realtà io credo che una tale distrazione lasci spazio a chi, dietro lo slogan del diritto alla vita, tenta, e forse in buona parte riesce, a mettere in discussione i diritti e la capacità di autodeterminazione della donna, unica responsabile della scelta se dare o meno la vita. Credo che lasci spazio anche a talune «femministe di area cristiana» che insistendo sul concetto di consulto obbligatorio e insistendo fino all’inverosimile nel dipingere la donna come un essere fragile e abbandonato di fronte ad una scelta delicata quale è l’aborto, non solo mettono in discussione il potere naturale della donna, ma anche le sue facoltà cerebrali. Onestamente faccio fatica anche solo a intravedere dietro questi concetti un discorso di promozione della donna. Forse è proprio questo il vero punto problematico di questa campagna: l’assenza delle donne. Non si parla dei nostri diritti, non si discute delle nostre esigenze,…non si sente la nostra voce.

Pubblicato il 

17.05.02

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