Bocche aperte alla ricerca dell’aria, diventata così rara, soffocata com’è da monossidi, biossidi, anidridi, polveri grosse e fini. Narici gocciolanti e dita che annaspano freneticamente in tasca alla ricerca di un fazzoletto in cui depositare il prodotto dell’irritazione alle mucose nasali: un bel quadretto della nostra quotidiana convivenza con l’inquinamento atmosferico, reso feroce da mesi di siccità e da temperature siberiane, ma anche dalla nostra esigenza di vita comoda e riscaldata e dal mito della mobilità individuale senza limiti, neppure quello del buon senso.
Per consolarmi mi rifugio nei confronti con il passato. Già in epoca neolitica il fumo da riscaldamento costituisce un problema rilevante. La combustione di legna per scaldarsi avviene al centro dell’abitazione e se si vuole il caldo si inala anche il fumo del «riscaldamento». Tutto avviene all’interno della capanna e l’inquinamento è strettamente proporzionale all’uso, fuori dalla dimora l’aria è pulita e, naturalmente fredda. Oggi noi siamo riusciti ad invertire i dati della questione: in casa abbiamo aria calda e relativamente pulita, ma non è il caso di andare fuori a cercare l’aria fresca. Il problema è proprio questo. Da quando l’uomo cerca di espellere il fumo dalle sua dimora, una cappa di fuliggine avvolge la città. La cosa sorprendente è che il problema è tutt’altro che recente.
Già nel lontano 1285 Edoardo I non ne può più della pesante cappa che opprime Londra (e non c’è ancora neanche una fabbrica). Esasperato inventa una legge contro l’inquinamento atmosferico: proibisce la combustione di carbone ad uso di riscaldamento. È una prima storica. Ma gli effetti sono limitati. L’uso combustibile del legname manda letteralmente in fumo le foreste che circondano Londra. L’unica possibilità per scaldarsi è di nuovo fornita dal carbone.
Nel Cinquecento anche la regina Elisabetta tenta di arginare il problema dell’inquinamento atmosferico, non tanto per sensibilità ecologica quanto per personalissima irritazione (cutanea e respiratoria): vieta di nuovo la combustione del carbone, ma solo per il periodo in cui il Parlamento si
riunisce.
Ma è con l’industria che Londra diventa la capitale dell’inquinamento e della fuliggine. «Per effetto dell’aria umida e del vapore di carbone, queste case di mattoni prendono un colore uniforme di un oliva brunastro», dice Heinrich Heine descrivendo Londra nel 1828. Il vero salto di qualità arriva con il traffico motorizzato. Nel 1905 viene coniato il termine «smog», parola che deriva da fumo (smoke) e nebbia (fog). Nel 1952 lo smog si trasforma in serial killer. Stagna per cinque giorni sulla città e provoca più di 4’000 morti. |