Il Forum sociale mondiale (Fsm) è nato nel gennaio del 2001 a Porto Alegre in Brasile, quando per la prima volta la società civile mondiale si autoconvocò come «l'anti-Davos del Sud» con lo slogan «Un altro mondo è possibile». Da allora il Fsm ha avuto un impressionante sviluppo. Dai 20 mila partecipanti della sua prima edizione ai 150 mila della riunione del 2005. Si è diffuso in decine di riunioni continentali, in centinaia di fori nazionali, regionali o tematici. Dopo una pausa a livello mondiale del 2006, quando si decentralizzò nei forum sociali di Caracas, Bamako e Karachi, il Fsm tornerà a trovarsi fisicamente unito. Dal 20 al 25 gennaio, per la prima volta in Africa, a Nairobi, in Kenya. In questi sei anni di vita il Fsm è diventato il principale spazio altermondialista a livello mondiale. Ne parliamo con Francisco "Chico" Whitaker, militante sociale brasiliano, uno degli otto cofondatori del Fsm e recentemente premiato come Premio Nobel alternativo 2006, da lui considerato «come una distinzione per tutto il movimento altermondialista e per il Fsm».

Il Fsm non è né un movimento, né una grande organizzazione, ma uno spazio planetario di scambio, di ricerca di alternative e di un'agenda comune dei movimenti sociali.
Chico Whitaker ricorre alla più essenziale pedagogia politica per ricordare le fondamenta di questo «laboratorio di esperienze in costante evoluzione».
Denominatore comune di questo spazio «la lotta al neoliberalismo e al capitalismo autoritario che stanno portando il pianeta e l'essere umano alla rovina». Whitaker definisce così la logica interna al Fsm: «deve essere la orizzontalità a determinarlo. Tutti uguali, senza coordinatori e rappresentanti, ne portavoce. Lo spazio non ha voce». Le novità devono arrivare «Dal basso la gente deve impegnarsi per nuove prospettive che si realizzeranno da molteplici e differenti azioni. È la società civile come attore politico, che lavora per il cambiamento, riconoscendo gli altri, scoprendo e rafforzando le similitudini» insiste Whitaker.
Utopie, idealismo? «Più che altro ci vuole l'impulso di una nuova cultura politica da costruire che rispecchi i punti essenziali della Carta dei principi del Fsm, che è stata la chiave fondamentale per assicurare la continuità di questa dinamica innovatrice». Dopo sei anni di esistenza, il Fsm vive anche di un dibattito interno che riguarda la tattica e la strategia; la necessità o meno di un programma del Fsm; i tempi politici e lo stato dei movimenti sociali mondiali.
Non mancano le voci che danno il Fsm in perdita di velocità e di potere di convocazione. Queste affermazioni provocano la secca reazione di Whitaker: «Il Fsm è uno spazio nel quale le persone, la società civile possono incontrarsi e cercare delle soluzioni comuni. E questo spazio non sta vivendo un riflusso. Lo sarebbe se nessuno volesse continuare ad organizzarsi e ritrovarsi. Ma non è il caso e i preparativi per Nairobi lo dimostrano. Le aspettative dalla prossima riunione africana sono enormi. Se qualcuno dice che l'altermondialismo è in riflusso, è perché sta facendo riferimento allo stato dei movimenti sociali che difendono questa visione». In questo caso, concorda Whitaker: «Questi movimenti non hanno ancora trovato risposte integrali al modello neoliberista che, con la sua componente militare, continua ad essere molto forte».
La forza del nemico non spaventa Whitaker: «L'umanità è alla ricerca. È un compito arduo e lungo. Stiamo voltando pagina a un secolo di ambizioni. Il problema è che il più delle volte abbiamo paura di morire prima di vedere il cambiamento. Però i passi in avanti si faranno collettivamente, senza fretta».
Come si sta sviluppando la discussione interna sulla necessità di dotare o meno il Fsm di un minimo programma politico? «Non dobbiamo imporre un programma politico al Fsm. Sono i movimenti sociali che devono avere i propri programmi. Però nessuno dei movimenti deve pretendere di essere l'unico o il migliore. L'enorme differenza che regna nel Fsm non può essere ricondotta ad un unico progetto predefinito intellettualmente».
Ogni giorno appaiono nuovi protagonisti. Il tema dell'ecologia per esempio è cresciuto incredibilmente negli ultimi anni. Compreso il concetto di responsabilità sociale di molte imprese che inizia a scontrarsi con il concetto di lucro «Non possiamo ridurre il Fsm a un modello completo e concluso. Non si può tornare indietro con le ricette del passato. Ciò non vuol dire che in un momento determinato l'umanità possa finalmente riuscire a definire la nuova società che tutti sogniamo. Ma sarà un processo lungo e paziente» afferma Whitaker.
Se per Whitaker i tempi sono lunghi, i risultati di questa marcia non sono sempre quantificabili. Cosa porta concretamente il Fsm ai diversi movimenti sociali, ai sindacati, alle ong, ecc? «L'opportunità che offre il Fsm a tutti i partecipanti è di riconoscersi reciprocamente nelle proprie differenze. Per questi attori è importante essere presenti in uno spazio dove molte organizzazioni e movimenti condividono grandi obiettivi comuni senza conoscersi molto bene tra loro».
Da qui l'importanza che le organizzazioni sociali si riconoscano e riconoscano il Fsm. «Attorno a queste convergenze possono organizzare lotte e campagne che prima non potevano neanche immaginare».
«La novità - prosegue Whitaker - è superare le barriere, che significa superare idee precostituite. Se ciascuno arriva con occhi e cuore aperto, come successo negli altri Fsm, potrà constatare che le nuove alleanze sono essenziali e che sta nascendo una nuovo forma di intendere la partecipazione cittadina, di far politica e di promuovere questioni rivendicative. Il Fsm porta ad ogni attore quanto lui si integra e si appropria del foro» conclude Whitaker, ricordando che il Fsm è uno spazio in costruzione, che non esistono soluzioni magiche, che cercare una soluzione alternativa al sistema è responsabilità di tutti.


Lavoro decente per una vita decente

La crescita economica, da sola, non è in grado di creare automaticamente nuovi impieghi  né tanto meno di portare a un miglioramento delle condizioni di lavoro. Ancora oggi, la metà delle persone che sono attive professionalmente – si stima che nel mondo siano all'incirca 2,8 miliardi - vive sotto la soglia di povertà con un salario inferiore a 2 dollari al giorno (circa 2,5 franchi). E circa 500 milioni di lavoratori sono ricompensati con poco più di un franco al giorno. La realtà di numerosi paesi del sud è fatta prevalentemente di disoccupazione e di lavoro precario: al nord, un tempo isola più felice, il lavoro precario è ormai sempre più la norma. A livello internazionale ancora troppo poco viene realmente fatto, come segnala l'Uss, in favore della politica dell'impiego. Le organizzazioni internazionali che lottano contro la povertà sono ancora lontane dall'agire in modo adeguato.
A fronte di questo scenario preoccupante in cui dominano mondializzazione e interdipendenze, nel 2000 la comunità internazionale si era fissata, tra gli obiettivi del nuovo millenio nel campo dello sviluppo, quello di ridurre di almeno della metà le persone confrontate con l'estrema povertà. Questo entro il 2015. «L'intento è dei più onorevoli ma», secondo gli addetti ai lavori, «non potrà essere raggiunto senza essere accompagnato da azioni degne che consentano a tutti di accedere a un lavoro adeguato».
E in quest'ambito che si iscrive dunque la campagna internazionale "Decent work for a decent life" promossa dal Global progessive forum (nato dall'iniziativa del Partito socialista europeo, del Gruppo socialista al Parlamento europeo e dell'Internazionale socialista) insieme alla Conferenza sindacale internazionale e a Solidar. Una campagna che verrà ufficialmente lanciata domenica prossima al Forum sociale di Nairobi. A sostenerla è una grande alleanza di cui fanno parte, in Svizzera, il Partito socialista, l'Unione sindacale e il Soccorso operaio.
«L'intento è quello di sensibilizzare l'opinione pubblica e il mondo politico così che la creazione di impieghi, i diritti dei lavoratori, la sicurezza sociale e l'uguaglianza diventino delle priorità» ha dichiarato la direttrice di Sos Svizzera Ruth Daellenbach. Cui fa eco Juan Somavia, direttore dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) secondo cui «offrire migliori impieghi e migliori salari ai lavoratori del mondo non è mai stata una priorità: è tempo che questa situazione cambi».
Concretamente si tratta di un'azione prevista inizialmente su tre anni, che si riallaccia all'«Agenda per un lavoro decente» che l'Oil lanciò nel 1999 in applicazione della sua Dichiarazione relativa ai principi e ai diritti fondamentali del lavoro. Un'iniziativa nata con l'ambizione di conciliare crescita economica e progresso sociale su scala mondiale.
Quattro gli obiettivi strategici della nuova campagna: promuovere i diritti del lavoro, creare impieghi con un salario equo, proteggere maggiormente gli individui contro i rischi sociali e la perdita del lavoro rafforzando la protezione sociale per tutti e, infine, favorire il dialogo sociale nella società e l'economia.
A livello svizzero, l'Uss e il Ps spingono in particolare affinché un primo passo avanti venga compiuto dal Consiglio federale che dovrebbe integrare alla sua politica interna ed estera l'obiettivo di adeguate condizioni di lavoro e la garanzia di diritti di lavoro fondamentali. Il Cf dovrebbe anche contribuire al rafforzamento dell'Organizzazione internazionale del lavoro ratificando le sue principali condizioni così da permetterle di agire in ogni angolo del mondo. «Non dobbiamo infatti dimenticare che anche in Svizzera il lavoro è sempre più precario» afferma Vania Alleva del sindacato Uss/Unia «L'evoluzione è particolarmente scioccante nel settore del lavoro temporaneo: dieci anni fa meno di 100 mila persone erano lavoratori temporanei, lo scorso anno la cifra raggiungeva già le 250 mila unità».

Pubblicato il 

19.01.07

Edizione cartacea

Nessun articolo correlato