L’iniziativa dell’Unione sindacale svizzera (Uss per la riduzione del tempo di lavoro) ha creato un ampio dibattito all’interno della stessa Uss. Diversi sindacalisti, per la maggioranza esponenti dell’ala più radicale del sindacato, hanno contestato parte del contenuto dell’iniziativa. Abbiamo dunque chiesto, ad uno di loro, di illustrare le proprie critiche nell’intento di comprendere le diverse sensibilità che si muovono all’interno del movimento sindacale. Il presidente del sindacato Comedia Christian Tirefort ha accettato di rispondere ad alcune domande. Christian Tirefort, per la prima volta un’iniziativa dell’Uss è contestata da una frangia dei suoi membri. È il segno di una dialettica interna o si tratta di qualcosa di più? Secondo me l’attuale dibattito non è un segnale di dialettica interna nel senso di arricchimento del dibattito politico attraverso il confronto di idee diverse. Si tratta del tentativo di porre freno ad una deriva. In questi ultimi 15 anni i sindacati hanno concentrato quasi tutti i loro sforzi su uno scopo: adattarsi all’evoluzione della società. In altre parole si tratta di adattare i lavoratori alle nuove richieste del capitalismo. Il tempo di lavoro, ma soprattutto la sua organizzazione, è un fattore determinante per «ridurre i costi di produzione» eliminando tutti i tempi morti, comunque inevitabili in qualsiasi processo di lavoro. Flessibilizzare i salariati rappresenta, in questo quadro, una posta in gioco decisiva. L’Uss se ne è resa conto e ha pensato che fosse una buona cosa «scambiare la flessibilità contro il tempo di lavoro». Da qui l’idea di proporre l’introduzione del tempo di lavoro annuale che darebbe la possibilità alle imprese di adattare il tempo di lavoro ai ritmi stagionali, al flusso più o meno importante delle comande ricevute. Si adattano quindi i salariati, la loro vita, alle bizze del mercato capitalista invece di costruire una società a misura di lavoratore. Ma che cosa contesta all’iniziativa dell’Uss? Dal mio punto di vista è inaccettabile l’annualizzazione del tempo di lavoro. Non si tratta affatto di un’iniziativa sulle 36 ore giacché gli orari di lavoro variano da 0 a 48 ore.. Ogni lavoratore avrà il suo orario e ciò sopprimerà qualsiasi possibilità futura di battersi collettivamente per il tempo di lavoro e la sua organizzazione. Parlare di 36 ore settimanali equivale, in un certo senso, ad ingannare i lavoratori. In che misura l’annualizzazione dell’orario di lavoro pesa sui lavoratori? Le esperienze sulla flessibilità del tempo di lavoro mostrano che gli orari sono difficilmente negoziabili dalle commissioni operaie, quando esistono. Nelle tipografie, per esempio, le trattative salariali a livello di impresa ci forniscono un campione eloquente di ciò che saranno le discussioni sugli orari di lavoro. La flessibilizzazione supplementare è destinata ad indurire ulteriormente la concorrenza, ad accentuare la pressione sui prezzi e, per finire, sui salari. Seguendo questo scenario la tappa successiva potrebbe condurre alla soppressione «tout court» dei regolamenti di lavoro in gruppo considerati «zavorra». Quanto ai supplementi per le ore straordinarie, scompariranno completamente.L’annualizzazione costituirà quindi una flessibilizzazione supplementare ed incontrollabile del tempo di lavoro. Pertanto sarà completamente destrutturante per il lavoratore. Ma allora che cosa propone in alternativa a questa iniziativa? Una discussione su delle alternative reali. Secondo me la situazione attuale permette già delle soluzioni individuali senza completamente sopprimere le regole legate all’organizzazione del tempo di lavoro. L’urgenza è altrove. Se ci sono delle domande da porre sul tappeto queste non sono tanto legate alla questione del tempo di lavoro. I punti che mi stanno a cuore sono: dove vanno i profitti? come vengono utilizzati? perché manca lavoro mentre i bisogni delle persone sono lungi dall’essere soddisfatti? perché la miseria cresce allorquando la capacità di creare ricchezza non è mai stata così grande? perché l’abisso delle discriminazioni tra Nord e Sud diventa sempre grande? Queste sono le domande da porsi. La sinistra dovrebbe ritrovare la propria identità e smetterla di volere a tutti i costi adattare i lavoratori ad una società che è sempre meno fatta per loro.

Pubblicato il 

15.02.02

Edizione cartacea

Nessun articolo correlato